Dalla legge 104/1992 all’attuale modello di inclusione scolastica
Competenze Psicopedagogiche per il Docente Inclusivo
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Il sistema di inclusione scolastica italiano affonda le sue radici nella Legge 104 del 1992, considerata la colonna portante delle politiche educative rivolte agli alunni con disabilità. Tuttavia, per comprenderne la portata, è necessario ricordare che l’integrazione degli studenti con bisogni speciali non nasce con questa norma: già negli anni Settanta, l’Italia aveva avviato un processo di superamento delle scuole speciali, introducendo gradualmente la frequenza nelle classi comuni. La Legge 104 ha però definito un quadro organico, fissando principi, strumenti e responsabilità che ancora oggi regolano la vita scolastica degli alunni in condizione di disabilità.
Questa legge ha sancito il diritto all’educazione e all’integrazione sociale come parte integrante della tutela della persona, stabilendo l’obbligo per lo Stato e per le istituzioni scolastiche di garantire un percorso formativo adeguato alle potenzialità di ciascuno. Uno dei passaggi più innovativi fu l’introduzione del docente di sostegno come figura professionale con funzione di supporto specialistico, ma non esclusivo: il principio della corresponsabilità educativa ha infatti stabilito che tutti i docenti della classe, curriculari e di sostegno, concorrono al processo di insegnamento e apprendimento dello studente. Questo approccio cooperativo è oggi rafforzato da successive norme e linee guida che ne precisano i compiti e le modalità operative.
Un altro elemento cardine della legge riguarda la definizione delle condizioni di apprendimento e delle modalità di valutazione degli alunni con disabilità. L’articolo 16 della Legge 104/1992, tuttora vigente, prescrive che la valutazione debba basarsi sul Piano Educativo Individualizzato (PEI) e tenere conto del progresso dell’alunno in rapporto alle proprie potenzialità e ai livelli di partenza, privilegiando una visione formativa piuttosto che sommativa del percorso scolastico. Ciò implica che la valutazione non debba limitarsi alla misurazione del risultato, ma valorizzare il processo di crescita, l’impegno, la partecipazione e i progressi compiuti nel tempo.
Nel corso degli anni, il quadro normativo si è progressivamente evoluto. Il Decreto Legislativo 66 del 2017 e le sue modifiche del 2019 hanno aggiornato il sistema inclusivo, allineandolo alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (ratificata in Italia nel 2009), che ha introdotto il modello bio-psico-sociale della disabilità. Questo paradigma, mutuato dalla classificazione internazionale ICF dell’OMS, considera la persona nella sua globalità, valorizzando il rapporto dinamico tra fattori individuali, ambientali e sociali. La scuola, in questa prospettiva, diventa un contesto di partecipazione attiva, dove gli ostacoli all’apprendimento non sono attributi della persona, ma barriere da rimuovere attraverso strategie educative mirate, adattamenti organizzativi e collaborazione tra professionisti, famiglia e territorio.
Corresponsabilità educativa e personalizzazione dei percorsi di apprendimento
L’inclusione scolastica non può essere intesa come un insieme di interventi isolati, ma come un processo educativo condiviso, che coinvolge l’intera comunità scolastica. La corresponsabilità educativa è uno dei principi centrali del sistema italiano: il docente di sostegno non agisce in modo parallelo o sostitutivo rispetto ai colleghi, bensì in sinergia con loro. Il suo ruolo è di coordinamento e facilitazione, volto a favorire la partecipazione attiva dell’alunno con disabilità al contesto classe. Questo principio è stato ribadito più volte, anche dal DPR 81/2009, che richiama esplicitamente la collaborazione tra docenti nel progettare percorsi inclusivi e nella costituzione delle classi iniziali, che non dovrebbero superare i venti alunni in presenza di studenti con disabilità, proprio per garantire un contesto didattico gestibile e realmente partecipativo.
Le Linee guida del 2009 hanno ulteriormente consolidato questa visione, definendo la corresponsabilità come la condivisione di obiettivi, strategie e modalità operative tra tutti i docenti della classe. Ciò significa che il progetto educativo dell’alunno con disabilità non è un compito delegato a un singolo insegnante, ma un impegno collegiale che richiede un linguaggio comune, un piano d’azione coordinato e la piena integrazione delle attività del docente di sostegno nel lavoro d’aula. L’inclusione, dunque, non si realizza solo attraverso risorse aggiuntive, ma grazie a una cultura scolastica che riconosce la diversità come valore e occasione di crescita per l’intero gruppo classe.
La personalizzazione dei percorsi rappresenta la naturale conseguenza di questa corresponsabilità. Ogni studente, indipendentemente dalla presenza di una disabilità certificata, ha diritto a un percorso formativo calibrato sulle proprie potenzialità e modalità di apprendimento. In questo senso, il PEI diventa la bussola operativa del processo educativo: esso esplicita obiettivi, strategie, strumenti, tempi e modalità di verifica, orientando le scelte didattiche del consiglio di classe. Le linee guida più recenti, allegate al Decreto Interministeriale 153 del 2023, sottolineano come la valutazione e la programmazione debbano essere costruite sulla base del profilo di funzionamento dell’alunno e non su schemi rigidi o standardizzati.
Il concetto di personalizzazione non coincide con quello di semplificazione. Si tratta piuttosto di differenziare metodi e strumenti, non obiettivi o aspettative di apprendimento. La scuola inclusiva non abbassa il livello, ma cerca percorsi alternativi per consentire a ciascuno di esprimere al meglio le proprie competenze. Strumenti compensativi, tecnologie assistive, prove equipollenti e tempi personalizzati non sono concessioni, bensì garanzie di equità, perché permettono a tutti di accedere alle stesse opportunità formative attraverso modalità diverse.
In definitiva, la corresponsabilità educativa e la personalizzazione dei percorsi costituiscono due pilastri complementari: la prima assicura la partecipazione attiva di tutti i docenti, la seconda traduce in pratica l’idea di una scuola che si adatta alle persone e non viceversa. L’obiettivo non è soltanto l’integrazione, ma la piena inclusione, intesa come appartenenza, autonomia e valorizzazione del contributo di ciascun alunno all’interno della comunità scolastica.
Valutazione formativa e prove equipollenti nel percorso inclusivo
La valutazione degli studenti con disabilità è uno dei nodi centrali dell’inclusione scolastica e rappresenta, al tempo stesso, una delle sfide più delicate per i docenti. La Legge 104/1992, all’articolo 16, stabilisce che la valutazione debba tener conto del Piano Educativo Individualizzato (PEI) e del progresso dell’alunno in rapporto alle sue potenzialità e ai livelli di apprendimento iniziali. Questa impostazione ribalta la logica della misurazione standardizzata, spostando l’attenzione dal prodotto al processo di apprendimento. Ciò significa che il successo formativo non è definito unicamente dal raggiungimento di un risultato oggettivo, ma dal percorso di crescita, dall’impegno e dalla capacità di superare difficoltà personali e contestuali.
L’approccio formativo della valutazione non si limita agli studenti con disabilità: è una prospettiva pedagogica che valorizza le differenze individuali e riconosce che ogni percorso di apprendimento è unico. Le Linee guida allegate al Decreto Interministeriale 153 del 2023 ribadiscono questo principio, sottolineando che la valutazione deve fondarsi su criteri personalizzati, coerenti con il profilo di funzionamento dell’alunno e con le strategie previste nel PEI. Tale documento, oltre a delineare obiettivi e strumenti, indica le discipline in cui si adottano adattamenti o personalizzazioni, specificandone le motivazioni e i criteri di verifica.
Uno degli strumenti più importanti a disposizione della scuola per garantire equità valutativa è costituito dalle prove equipollenti, previste per gli esami di Stato e richiamate anch’esse dalla Legge 104/1992. Le prove equipollenti non rappresentano una semplificazione del compito, ma un modo per accertare le competenze attraverso modalità diverse. Possono consistere, ad esempio, in prove scritte tradotte in quesiti a risposta chiusa, in elaborati redatti con il supporto di strumenti digitali o in prove orali che sostituiscono o integrano quelle scritte. Ciò che conta è la parità di valore educativo e formativo rispetto alle prove ordinarie, non la loro identità formale.
Le vecchie Linee guida ministeriali del 2000 sugli esami di Stato restano, ancora oggi, il riferimento più completo per definire le prove equipollenti. Esse distinguono tre categorie principali:
- prove con contenuti equivalenti ma espresse in forma diversa;
- prove con contenuti differenti ma di valore formativo equipollente;
- prove realizzate con mezzi diversi (come l’uso del computer, la lettura ad alta voce o la dettatura del docente).
La scelta delle prove equipollenti spetta alla commissione d’esame, che deve basarsi sul PEI e sul documento del 15 maggio, nel quale la scuola esplicita la progettazione didattica dell’anno. In questo modo, la valutazione diventa parte integrante del percorso educativo, non un momento separato o punitivo.
L’obiettivo ultimo non è “agevolare” lo studente, ma garantire pari opportunità di espressione e successo. La valutazione, in un contesto inclusivo, non misura solo conoscenze e abilità, ma anche la capacità di utilizzare le proprie risorse in modo autonomo e significativo. Per questo, la scuola deve saper conciliare rigore e flessibilità, costruendo un sistema di verifica coerente con il principio di equità sostanziale: trattare in modo diverso ciò che è diverso, per offrire a tutti le stesse opportunità di realizzazione personale.
Negli ultimi anni, la concezione della disabilità ha subito un profondo cambiamento di prospettiva, passando da un approccio medico-compensativo a un modello bio-psico-sociale, ispirato alla Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF) elaborata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Questo paradigma, recepito nel sistema scolastico italiano attraverso il Decreto Legislativo 66/2017, guarda alla persona non come portatrice di una menomazione, ma come soggetto che interagisce con un ambiente più o meno favorevole al proprio sviluppo. La disabilità, dunque, non è più considerata un attributo individuale, bensì il risultato dell’interazione tra condizioni di salute, fattori personali e barriere ambientali.
Il profilo di funzionamento nasce proprio da questa nuova visione. Introdotto formalmente dal Decreto Legislativo 66/2017 e definito dalle Linee guida del Ministero della Salute del 2022, esso rappresenta uno strumento fondamentale per comprendere le caratteristiche globali dell’alunno e per progettare interventi realmente inclusivi. È un documento complesso e dinamico, che sostituisce la vecchia diagnosi funzionale e il profilo dinamico-funzionale, integrando dimensioni biologiche, psicologiche e sociali. Viene redatto da un’équipe multidisciplinare composta da specialisti sanitari e sociali, in collaborazione con la scuola e la famiglia, e deve essere aggiornato ad ogni passaggio di ordine e grado di istruzione o quando cambiano le condizioni di salute o di apprendimento dell’alunno.
Nel profilo di funzionamento vengono descritti i punti di forza e di debolezza del soggetto, le abilità residue, le potenzialità di sviluppo, nonché i fattori ambientali che possono facilitare o ostacolare il processo di apprendimento. Questi dati costituiscono la base per la stesura del Piano Educativo Individualizzato (PEI), poiché consentono di individuare obiettivi realistici, strategie personalizzate e risorse necessarie per favorire la partecipazione piena alla vita scolastica. In tal senso, il profilo non è un atto burocratico, ma un documento operativo e dinamico, che guida l’azione educativa nel rispetto della dignità e dell’autodeterminazione della persona.
Un elemento innovativo del modello italiano è la partecipazione attiva dello studente e della sua famiglia alla costruzione del profilo. Il principio di autodeterminazione, richiamato anche dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (2006), implica che la persona sia coinvolta nelle decisioni che la riguardano, nei limiti delle proprie capacità. Ciò rafforza il concetto di educazione come processo condiviso e non imposto, in cui la voce dell’alunno assume un valore fondamentale nella definizione del percorso formativo.
Sebbene il profilo di funzionamento rappresenti un progresso decisivo, la sua piena applicazione è ancora disomogenea sul territorio nazionale. In molte regioni si continua a utilizzare la precedente modulistica diagnostica, in attesa che la riforma entri completamente a regime. Tuttavia, la direzione è tracciata: l’ICF costituisce ormai la cornice di riferimento per una scuola che si misura non con la disabilità in sé, ma con le barriere che ostacolano la partecipazione e l’apprendimento, promuovendo una visione della persona centrata sulle possibilità, non sui limiti.
Il Piano Educativo Individualizzato: struttura, contenuti e funzioni
Il Piano Educativo Individualizzato (PEI) rappresenta il fulcro operativo dell’inclusione scolastica. È il documento che traduce in pratica le indicazioni del profilo di funzionamento e delinea il percorso formativo personalizzato dell’alunno con disabilità. La sua funzione principale è quella di garantire coerenza tra la progettazione didattica e gli interventi educativi, definendo obiettivi, strumenti, tempi e modalità di verifica calibrati sulle potenzialità e sui bisogni dello studente. La scuola, una volta acquisita la certificazione di disabilità a fini di inclusione scolastica e il profilo di funzionamento, ha l’obbligo di redigere il PEI, che diventa così un atto dovuto e non facoltativo.
L’attuale modello nazionale di PEI è contenuto nelle Linee guida allegate al Decreto Interministeriale 153 del 2023, che hanno aggiornato il precedente decreto 182 del 2020. Questo modello recepisce pienamente il paradigma bio-psico-sociale e introduce una struttura articolata in sezioni che rispecchiano le quattro dimensioni del funzionamento umano individuate dall’ICF: relazione e socializzazione, comunicazione, autonomia e orientamento, apprendimento e partecipazione. In ciascuna di queste aree vengono indicati obiettivi educativi e didattici, strategie metodologiche, strumenti compensativi, misure di supporto e criteri di valutazione.
Uno degli elementi più rilevanti del PEI è la possibilità di proporre, con adeguata motivazione, la quantificazione delle ore di sostegno necessarie. Tale proposta, elaborata dal gruppo di lavoro operativo (GLO) e validata dal dirigente scolastico, costituisce la base per la richiesta di organico di sostegno all’Ufficio scolastico territoriale. Questa procedura ribadisce il ruolo centrale del PEI come documento tecnico e giuridico, ma anche come strumento di governance pedagogica: la qualità della sua elaborazione incide direttamente sulla qualità dell’intervento educativo e sulla reale inclusione dell’alunno.
Il PEI si distingue in provvisorio e definitivo. Il primo viene redatto entro il mese di giugno, al termine dell’anno scolastico precedente, per consentire un’adeguata programmazione delle risorse; il secondo, invece, deve essere completato entro il 31 ottobre, dopo l’osservazione diretta dell’alunno nella nuova classe. Durante l’anno scolastico, il documento è oggetto di verifiche periodiche che consentono di aggiornare obiettivi e strategie in base all’evoluzione del percorso. Questa flessibilità è essenziale per garantire l’efficacia dell’intervento e per adattarsi ai mutamenti del funzionamento o del contesto.
La redazione del PEI non è un atto isolato, ma il risultato di una progettazione condivisa. Il documento è elaborato e approvato dal Gruppo di Lavoro Operativo per l’Inclusione (GLO), composto dal dirigente scolastico o da un suo delegato, dai docenti del consiglio di classe e dagli specialisti che collaborano con la scuola. Partecipano inoltre i genitori e, quando possibile, lo stesso studente, nel rispetto del principio di autodeterminazione. Tale approccio corale riflette l’idea che l’inclusione sia un processo di rete, che coinvolge scuola, famiglia, servizi sanitari e territorio in un dialogo continuo orientato al benessere della persona.
Il PEI, in definitiva, non è un semplice adempimento formale, ma un patto educativo personalizzato che concretizza il diritto allo studio in un’ottica di equità, partecipazione e crescita globale. È il documento che dà forma e sostanza alla scuola inclusiva, quella che riconosce e valorizza ogni diversità come occasione di apprendimento reciproco.
Il Gruppo di Lavoro Operativo per l’Inclusione (GLO) e il ruolo delle figure professionali coinvolte
Il Gruppo di Lavoro Operativo per l’Inclusione (GLO) è l’organismo che, all’interno di ogni istituzione scolastica, coordina la progettazione educativa e didattica per gli alunni con disabilità. Previsto dall’articolo 7 del Decreto Legislativo 66/2017, esso rappresenta il luogo concreto in cui la scuola costruisce l’inclusione, trasformando principi normativi in prassi operative. Il GLO ha il compito di elaborare, approvare e monitorare il Piano Educativo Individualizzato (PEI), garantendo coerenza tra i diversi interventi educativi, sanitari e sociali che concorrono al percorso formativo dell’alunno.
La composizione del GLO è definita con chiarezza dal Decreto Interministeriale 182/2020, poi aggiornato dal Decreto 153/2023. Ne fanno parte tutti i docenti del consiglio di classe, presieduti dal dirigente scolastico o da un suo delegato, nonché le figure professionali che interagiscono stabilmente con lo studente. Vi partecipano, inoltre, i genitori o chi esercita la responsabilità genitoriale, lo studente stesso quando possibile (in nome del principio di autodeterminazione) e i professionisti sanitari o sociali che seguono l’alunno, come gli assistenti alla comunicazione o all’autonomia. È importante distinguere tra componenti del GLO – che deliberano e approvano formalmente il PEI – e partecipanti, che offrono contributi tecnici e osservazioni ma non esercitano potere deliberante.
Questo organismo rappresenta un modello di collaborazione interprofessionale. La sua forza risiede nella pluralità dei punti di vista: ogni figura coinvolta apporta competenze specifiche che, integrate, permettono di costruire un piano educativo realmente personalizzato. Il docente di sostegno svolge un ruolo di mediazione e di raccordo, ma non è l’unico responsabile del percorso; tutti i docenti curricolari condividono la responsabilità educativa, partecipando alla definizione di obiettivi e strategie. Il dirigente scolastico, dal canto suo, garantisce il coordinamento istituzionale, promuove la cultura dell’inclusione e assicura che le decisioni del GLO trovino attuazione concreta all’interno del piano dell’offerta formativa.
Un aspetto innovativo introdotto dalle più recenti disposizioni è il riconoscimento del contributo del personale ATA, in particolare dei collaboratori scolastici, nella gestione dell’assistenza di base. Il Contratto Collettivo Nazionale del comparto istruzione e ricerca 2019-2021 chiarisce che tali operatori sono tenuti a fornire supporto materiale agli studenti con disabilità, anche nell’accesso agli spazi scolastici e nell’utilizzo dei servizi igienici. La loro eventuale partecipazione ai lavori del GLO, autorizzata dal dirigente, può risultare preziosa per migliorare la qualità dell’intervento e rafforzare il senso di appartenenza alla comunità educativa.
Il GLO non si limita a redigere il PEI: ne verifica l’attuazione attraverso monitoraggi periodici, documentando progressi, difficoltà e nuove esigenze. Le decisioni vengono assunte in modo collegiale, nel rispetto del principio di corresponsabilità. Questa metodologia riflette una visione sistemica dell’inclusione, in cui la scuola non opera isolatamente ma come parte di una rete più ampia che comprende famiglie, servizi territoriali e istituzioni locali.
In sintesi, il GLO è il cuore pulsante dell’inclusione scolastica: uno spazio di confronto, progettazione e corresponsabilità che traduce i valori dell’equità e della partecipazione in azioni educative quotidiane, concrete e misurabili.
Progetto individuale, rete territoriale e ruolo degli enti locali
L’inclusione scolastica non può esaurirsi all’interno delle mura della scuola. Essa si fonda su una rete territoriale integrata che coinvolge famiglia, istituzioni scolastiche, servizi sanitari e sociali, enti locali e associazioni del territorio. Questo approccio sistemico trova la sua piena espressione nel progetto individuale, uno strumento previsto dall’articolo 14 della Legge 328/2000 e oggi richiamato dal Decreto Legislativo 66/2017 e dal Decreto Interministeriale 182/2020. Il progetto individuale rappresenta la traduzione operativa del cosiddetto progetto di vita della persona con disabilità e costituisce un riferimento imprescindibile per la redazione del PEI.
La competenza per la predisposizione del progetto individuale è attribuita agli enti locali, in particolare ai Comuni, che lo elaborano sentita l’ASL e in collaborazione con la famiglia. Si tratta di un documento di ampia portata, che non riguarda soltanto l’ambito scolastico ma include tutti gli interventi necessari a garantire il pieno sviluppo della persona: assistenza educativa e domiciliare, inserimento lavorativo, accesso ai servizi sanitari e sociali, sostegno economico e misure per la vita indipendente. La scuola, in questo quadro, è uno dei nodi della rete e partecipa attivamente alla definizione e all’attuazione del progetto, contribuendo con la propria competenza pedagogica e didattica.
Nel modello nazionale di PEI (D.I. 153/2023), il raccordo con il progetto individuale è previsto nella sezione terza del documento, che deve indicare se tale progetto sia già stato redatto e, in caso affermativo, riportarne una sintesi. Se il progetto non è ancora stato predisposto, il PEI può suggerire indicazioni e priorità che gli enti locali potranno recepire successivamente. Questo collegamento garantisce coerenza tra gli interventi educativi scolastici e le misure di inclusione sociale, economica e lavorativa, evitando frammentazioni che rischierebbero di compromettere il percorso globale dell’alunno.
Il progetto individuale si basa sul profilo di funzionamento, che costituisce la matrice comune con il PEI. Entrambi, infatti, assumono il modello bio-psico-sociale come riferimento e mirano a descrivere la persona nella sua interezza. Mentre il PEI traduce queste informazioni in azioni didattiche, il progetto individuale amplia la prospettiva, includendo gli aspetti di vita quotidiana e di partecipazione alla comunità. L’obiettivo è garantire la continuità educativa e sociale lungo tutto il percorso di crescita, dall’infanzia all’età adulta, in una logica di accompagnamento personalizzato.
Il coordinamento tra scuola e servizi territoriali, tuttavia, non è sempre agevole. Persistono differenze organizzative tra regioni e comuni, tempi amministrativi disomogenei e talvolta difficoltà di comunicazione tra i diversi soggetti coinvolti. È qui che assume rilievo la figura del dirigente scolastico, chiamato a promuovere la collaborazione interistituzionale e a garantire che le informazioni fluiscano in modo efficace tra scuola, famiglia e servizi. Solo attraverso un dialogo costante e documentato è possibile costruire una rete realmente inclusiva, capace di rispondere ai bisogni complessivi della persona e non solo a quelli scolastici.
In sintesi, il progetto individuale è la chiave di volta dell’inclusione a 360 gradi: collega il percorso educativo alla dimensione sociale e restituisce alla persona con disabilità il diritto fondamentale a una vita piena, partecipata e autodeterminata.
Certificazione di disabilità, accertamento e aggiornamento dei documenti
La certificazione di disabilità a fini di inclusione scolastica rappresenta il primo passo formale che consente alla scuola di attivare le misure previste per la piena partecipazione dell’alunno alla vita scolastica. Senza questo documento, infatti, l’istituzione non può redigere il Piano Educativo Individualizzato (PEI) né richiedere le risorse di sostegno necessarie. La certificazione è rilasciata dall’INPS, a seguito di una specifica domanda presentata dai genitori o da chi esercita la responsabilità genitoriale. È quindi un atto volontario, che presuppone la consapevolezza della famiglia rispetto ai diritti e ai doveri connessi al percorso di inclusione.
L’accertamento della disabilità viene effettuato da una commissione medica composta da un medico legale, da uno specialista in neuropsichiatria infantile o in pediatria, e da un medico esperto nella patologia prevalente del minore. Tale commissione valuta la condizione di salute e la sua incidenza sulle funzioni vitali e sulle attività quotidiane, adottando criteri basati sul modello bio-psico-sociale introdotto dall’ICF. A differenza del passato, non si tratta solo di quantificare una menomazione, ma di descrivere in modo articolato le barriere e i facilitatori che influenzano la partecipazione della persona nei diversi contesti di vita, compreso quello scolastico.
Il Decreto Legislativo 66/2017, insieme al più recente Decreto Legislativo 62/2024, ha previsto un processo di progressiva revisione delle procedure di accertamento, attualmente in fase di sperimentazione in alcune province italiane. Dal 1° gennaio 2026, salvo proroghe, le nuove modalità dovrebbero entrare a regime su tutto il territorio nazionale, con l’obiettivo di rendere più omogenee e rapide le procedure e di favorire un linguaggio condiviso tra sanità, scuola e servizi sociali. Tutte le informazioni aggiornate sono rese disponibili dall’INPS, che funge da ente coordinatore e garante del processo.
Una volta ottenuta la certificazione, spetta alla famiglia decidere se trasmetterla alla scuola. In assenza di tale trasmissione, l’istituzione scolastica non può agire d’ufficio. Tuttavia, qualora il mancato invio del documento comporti un evidente pregiudizio al diritto all’istruzione del minore, la scuola ha la facoltà – e in alcuni casi il dovere – di segnalare la situazione alla Procura presso il Tribunale per i Minorenni, affinché vengano adottate le misure di tutela più opportune. Ciò sottolinea il delicato equilibrio tra il diritto all’autodeterminazione familiare e la protezione del superiore interesse del minore.
La certificazione di disabilità deve essere aggiornata periodicamente, soprattutto in occasione del passaggio da un ordine di scuola all’altro o quando intervengono modifiche significative nelle condizioni di salute o nel funzionamento dell’alunno. Questo aggiornamento è indispensabile per garantire la coerenza tra la documentazione sanitaria e il contenuto del PEI, che deve riflettere la situazione reale dello studente. Analogamente, il profilo di funzionamento, redatto dall’unità di valutazione multidisciplinare, deve essere rivisto nelle stesse circostanze, in modo da assicurare la continuità e la correttezza della progettazione educativa.
In sintesi, la certificazione di disabilità e i documenti correlati non sono meri adempimenti burocratici, ma strumenti che assicurano la tutela dei diritti educativi e sociali della persona. Essi costituiscono la base giuridica e pedagogica su cui si fonda il percorso di inclusione, garantendo alla scuola la possibilità di intervenire in modo mirato, equo e rispettoso della dignità di ciascun alunno.
Assistenza di base e partecipazione del personale ATA nel sistema inclusivo
Nel modello di scuola inclusiva delineato dalla normativa italiana, l’inclusione non è un compito esclusivo del corpo docente, ma un impegno condiviso da tutta la comunità scolastica. In questo quadro, anche il personale ATA, e in particolare i collaboratori scolastici, svolgono un ruolo fondamentale. La loro funzione non si limita ad aspetti logistici o di sorveglianza, ma comprende compiti educativi e di supporto concreto agli studenti con disabilità, specialmente in relazione alle attività quotidiane e ai bisogni di autonomia personale.
Il Contratto Collettivo Nazionale del Comparto Istruzione e Ricerca 2019–2021 ha chiarito definitivamente la portata delle mansioni del collaboratore scolastico. All’interno del profilo professionale è esplicitato che tali operatori devono prestare ausilio materiale non specialistico agli alunni con disabilità, non solo nell’accesso e nella permanenza negli spazi scolastici, ma anche nell’utilizzo dei servizi igienici e nella cura dell’igiene personale. Questa disposizione supera un equivoco che in passato aveva portato a considerare tali mansioni limitate alla scuola dell’infanzia. Oggi è chiaro che l’assistenza di base riguarda tutti gli ordini di scuola, laddove se ne presenti la necessità.
Il ruolo del collaboratore scolastico, pur non richiedendo competenze specialistiche, è delicato e richiede formazione specifica. La normativa contrattuale e le circolari ministeriali prevedono infatti corsi di aggiornamento e formazione obbligatoria sulle tecniche di assistenza, sulla sicurezza e sul rispetto della privacy e della dignità della persona. Questo investimento formativo è essenziale per garantire interventi appropriati e rispettosi, oltre che per rafforzare la professionalità e la consapevolezza del personale ATA all’interno della comunità scolastica.
Un aspetto di particolare rilievo è la partecipazione dei collaboratori scolastici agli organismi collegiali dedicati all’inclusione, come il Gruppo di Lavoro per l’Inclusione (GLI) e, in alcuni casi, il Gruppo di Lavoro Operativo (GLO). Sebbene la loro presenza non sia obbligatoria, il dirigente scolastico può autorizzarla quando risulti utile al buon funzionamento del servizio. Questa partecipazione consente di condividere informazioni rilevanti per la sicurezza, il benessere e la gestione quotidiana degli alunni, valorizzando il contributo di chi interagisce direttamente con loro nei momenti più delicati della giornata scolastica.
Coinvolgere il personale ATA nella pianificazione inclusiva ha anche una valenza culturale: significa riconoscere che l’inclusione non si realizza solo attraverso la didattica, ma anche grazie a relazioni di prossimità, cura e sostegno. L’atteggiamento accogliente e la sensibilità del collaboratore scolastico possono infatti fare la differenza nel garantire un ambiente sereno, rispettoso e privo di barriere psicologiche. In molte scuole, la partecipazione attiva dei collaboratori ai gruppi di lavoro ha contribuito a rafforzare il senso di appartenenza e a migliorare la collaborazione tra le diverse componenti del personale.
In definitiva, l’assistenza di base non è un servizio accessorio, ma una condizione necessaria per l’effettiva inclusione. Essa permette allo studente di vivere la scuola in modo pieno e dignitoso, mentre restituisce al personale ATA un ruolo riconosciuto e valorizzato nel progetto educativo complessivo. In una scuola davvero inclusiva, ogni figura – docente, dirigente, collaboratore o assistente – partecipa a un’unica missione: rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e le potenzialità di ciascun alunno.
Evoluzione normativa e prospettive future dell’inclusione scolastica in Italia
Il percorso dell’inclusione scolastica in Italia è il risultato di oltre cinquant’anni di evoluzione normativa, pedagogica e culturale. È un processo in continuo divenire, che riflette i mutamenti sociali e la crescente consapevolezza dei diritti delle persone con disabilità. L’impianto attuale affonda le radici nei provvedimenti degli anni Settanta, come la Legge 517/1977, che sancì la chiusura progressiva delle scuole speciali e l’inserimento degli alunni con disabilità nelle classi comuni. Quel passaggio segnò la transizione da un modello segregante a uno integrativo, ponendo l’Italia tra i paesi pionieri dell’inclusione.
Con la Legge 104 del 1992, l’integrazione scolastica acquisì una dimensione sistemica e giuridicamente garantita. Per la prima volta venne sancito il diritto all’educazione e all’inclusione come parte integrante della tutela della persona. Negli anni successivi, la normativa ha progressivamente ampliato il proprio raggio d’azione, estendendo l’attenzione non solo agli studenti con disabilità certificata, ma anche a coloro che presentano Bisogni Educativi Speciali (BES) o Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA). In particolare, la Legge 170/2010 e la Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012 hanno introdotto strumenti di personalizzazione e piani didattici individualizzati (PDP), consolidando l’idea di una scuola che si adatta agli studenti e non viceversa.
Il passo decisivo verso una visione unitaria e inclusiva è stato compiuto con il Decreto Legislativo 66/2017, emanato in attuazione della “Buona Scuola” (Legge 107/2015). Tale decreto ha riformato la governance dell’inclusione, ridefinendo le funzioni del PEI, del GLO e dei gruppi di inclusione a livello territoriale (GIT), e introducendo il profilo di funzionamento come documento cardine. Il successivo Decreto Interministeriale 182/2020, poi aggiornato con il D.I. 153/2023, ha fornito modelli nazionali di PEI uniformi, rafforzando l’unitarietà del sistema e garantendo criteri omogenei in tutto il territorio. Parallelamente, il Decreto Legislativo 62/2024 ha aggiornato la terminologia e le procedure relative alla certificazione e al progetto individuale, rendendo più coerente l’interazione tra scuola, sanità e enti locali.
L’orizzonte attuale dell’inclusione scolastica non riguarda solo la dimensione normativa, ma anche quella pedagogica e organizzativa. Le scuole sono chiamate a ripensare ambienti di apprendimento flessibili, tecnologie accessibili e percorsi didattici personalizzati, superando la logica dell’intervento emergenziale a favore di un approccio strutturale. La formazione continua dei docenti e del personale ATA diventa quindi una leva strategica per garantire la qualità dell’inclusione, così come il potenziamento dei Centri Territoriali di Supporto (CTS) e la collaborazione con le università per la ricerca e la sperimentazione di buone pratiche.
Le prospettive future puntano verso un sistema realmente inclusivo, capace di valorizzare le diversità come risorsa collettiva. La sfida è passare dall’inclusione “per legge” all’inclusione “per cultura”, in cui ogni membro della comunità educativa – studenti, docenti, famiglie e operatori – si riconosca parte attiva di un progetto comune. L’Italia, che già oggi rappresenta un modello di riferimento internazionale, è chiamata a consolidare questo primato attraverso politiche di lungo periodo, investimenti mirati e una costante riflessione pedagogica orientata ai diritti umani, alla partecipazione e alla piena cittadinanza educativa.
Box pratici riassuntivi
Punti chiave
- L’inclusione scolastica si fonda sul modello bio-psico-sociale dell’ICF, che considera la persona nella sua globalità.
- Il PEI è lo strumento cardine: definisce obiettivi, strategie e criteri di valutazione personalizzati.
- Il GLO elabora e approva il PEI, coinvolgendo scuola, famiglia e specialisti.
- Il profilo di funzionamento sostituisce la vecchia diagnosi funzionale e rappresenta la base per il PEI e per il progetto individuale.
- L’inclusione richiede corresponsabilità educativa: tutti i docenti e il personale ATA partecipano alla costruzione del percorso.
- Il progetto individuale, di competenza dell’ente locale, integra scuola, servizi sanitari e sociali in una prospettiva di vita autonoma e partecipata.
Errori comuni da evitare
- Considerare il PEI un semplice adempimento burocratico e non uno strumento operativo.
- Redigere il PEI senza un effettivo raccordo con il profilo di funzionamento o con la famiglia.
- Limitare l’inclusione al docente di sostegno, escludendo i docenti curriculari e il personale ATA.
- Sottovalutare l’importanza dell’aggiornamento periodico dei documenti e della verifica intermedia del PEI.
- Confondere la “personalizzazione” con la “semplificazione” dei percorsi didattici: equità non significa riduzione delle aspettative.
Suggerimenti operativi
- Promuovere incontri periodici tra GLO, famiglia e specialisti per garantire continuità educativa.
- Utilizzare la Classificazione ICF come strumento di osservazione condiviso.
- Documentare ogni fase del percorso educativo per assicurare trasparenza e tracciabilità.
- Coinvolgere lo studente nelle scelte che lo riguardano, in coerenza con il principio di autodeterminazione.
- Prevedere momenti di formazione interna per tutto il personale scolastico sull’inclusione e sulla gestione dei bisogni educativi speciali.
Fonti e letture consigliate
- Legge 5 febbraio 1992, n. 104 – Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate.
- Decreto Legislativo 13 aprile 2017, n. 66, e successive modifiche (D.Lgs. 96/2019).
- Decreto Interministeriale 29 dicembre 2020, n. 182, aggiornato con D.I. 153/2023 – Modelli nazionali di PEI e relative Linee guida.
- Legge 8 novembre 2000, n. 328 – Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali.
- Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (2006), ratificata in Italia con Legge n. 18/2009.
- Ministero dell’Istruzione e del Merito – Linee guida 2023 sull’inclusione scolastica (www.miur.gov.it).
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