Il valore della collaborazione tra docenti e la dimensione riflessiva
Competenze Psicopedagogiche per il Docente Inclusivo
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Nel contesto educativo contemporaneo, la collaborazione tra docenti rappresenta uno dei pilastri fondamentali per garantire qualità, efficacia e inclusione nella didattica. Non si tratta soltanto di condividere spazi o attività, ma di sviluppare una vera e propria cultura professionale basata sulla cooperazione, sul confronto e sulla riflessione condivisa. La scuola, infatti, è un ambiente complesso dove le competenze individuali devono integrarsi in un sistema relazionale articolato, in cui l’obiettivo comune è la crescita degli studenti e il benessere del gruppo classe.
Lavorare in compresenza, come spesso accade nei contesti inclusivi, richiede molto più che semplicemente “esserci”. Significa costruire nel tempo una sintonia professionale fondata sulla fiducia reciproca, sull’ascolto attivo e sulla consapevolezza dei propri e altrui ruoli. Ogni docente porta con sé un bagaglio di esperienze, valori e aspettative che influenzano il modo in cui si relaziona ai colleghi e agli alunni. Per questo la dimensione riflessiva diventa centrale: riflettere sul proprio agire, sulle emozioni suscitate dalle interazioni e sulle dinamiche del gruppo di lavoro consente di migliorare la propria pratica educativa e di prevenire incomprensioni o conflitti.
La riflessività non è un’attività accessoria, ma una competenza professionale riconosciuta anche a livello normativo e formativo. Nei principali quadri di riferimento nazionali e internazionali dedicati al docente di sostegno, la capacità di “autoriflessione” è indicata come componente chiave della professionalità docente. Essa implica l’abitudine a interrogarsi costantemente sul significato delle proprie scelte didattiche, sulla loro coerenza con gli obiettivi educativi e sulla qualità delle relazioni instaurate con studenti e colleghi.
In questa prospettiva, il gruppo di lavoro assume un duplice valore: è strumento e al tempo stesso oggetto di riflessione. Attraverso il gruppo, infatti, si apprendono strategie di comunicazione, si sperimenta la condivisione delle responsabilità e si acquisisce consapevolezza del proprio modo di stare nella relazione. Ogni interazione diventa occasione per apprendere non solo contenuti, ma anche modalità di cooperazione, gestione delle emozioni e costruzione di alleanze professionali.
Non è raro, però, che il lavoro in gruppo generi sentimenti contrastanti: entusiasmo e fiducia possono alternarsi a insicurezza, frustrazione o senso di giudizio. Queste emozioni, lungi dall’essere segni di debolezza, rappresentano indicatori preziosi della complessità delle relazioni umane nella scuola. Riconoscerle e analizzarle permette di trasformarle in risorse per la crescita personale e collettiva. La scuola inclusiva, per sua natura, si fonda sull’interdipendenza: il successo di ciascuno dipende dal contributo di tutti. Coltivare questa consapevolezza è il primo passo per costruire comunità educative realmente solidali e orientate al miglioramento continuo.
Cos’è un gruppo e quali caratteristiche lo rendono efficace
Nel linguaggio comune si tende a usare la parola “gruppo” in modo generico, ma in realtà essa ha un significato ben preciso nelle scienze sociali e nella pedagogia. Un gruppo non è semplicemente un insieme di persone che condividono uno spazio o un’attività: è un sistema organizzato di relazioni interdipendenti, orientate verso un obiettivo comune. Questa distinzione è fondamentale, soprattutto in ambito educativo, dove la collaborazione fra docenti e la coesione della classe dipendono dalla capacità di costruire gruppi autentici e non solo aggregazioni casuali.
Perché un gruppo possa definirsi tale, deve possedere almeno due elementi chiave: l’interdipendenza e l’obiettivo condiviso. L’interdipendenza implica che le azioni di ciascun membro influenzino il comportamento e i risultati degli altri; l’obiettivo comune, invece, dà senso e direzione all’attività collettiva. Senza questi due fattori, ciò che si crea non è un gruppo, ma un semplice insieme di individui. Un esempio efficace per comprendere la differenza può essere quello di un autobus pieno di passeggeri: finché ognuno viaggia per conto proprio, non esiste un gruppo; ma se accade un imprevisto e i passeggeri collaborano per uscire in sicurezza, in quel momento nasce un vero gruppo, unito da un fine condiviso e da un legame reciproco.
Questa logica vale anche nella scuola. Un gruppo di docenti diventa realmente operativo solo quando costruisce un terreno di cooperazione, in cui la comunicazione è aperta, la fiducia reciproca è coltivata e l’obiettivo educativo è chiaro e condiviso. Allo stesso modo, una classe non è soltanto un insieme di studenti, ma un microcosmo di relazioni che, se ben gestite, favoriscono l’apprendimento e la crescita personale di ciascuno. Nella pratica didattica, saper riconoscere e favorire la nascita di un gruppo significa lavorare anche sulle dinamiche socio-emotive: il senso di appartenenza, la percezione di essere valorizzati, la possibilità di esprimersi e di contribuire alle decisioni comuni.
Gli studi classici sulla psicologia dei gruppi, da Kurt Lewin a Giovanni Spaltro, hanno sottolineato come il gruppo non sia la semplice somma delle individualità, ma un’entità dotata di una propria “mentalità collettiva”. Spaltro, in particolare, descriveva il gruppo come una “mentalità”, un insieme di atteggiamenti e valori condivisi che influenzano il comportamento dei singoli membri. In questo senso, il gruppo agisce come un organismo vivente: nasce, si sviluppa, attraversa fasi di crisi e si rinnova costantemente.
Nell’ambiente scolastico, saper osservare e comprendere queste dinamiche è essenziale. Il docente deve saper leggere i legami affettivi (gruppi primari, come le amicizie) e quelli funzionali (gruppi secondari, orientati a un compito), perché entrambi influenzano la qualità del clima di classe. Quando i legami emotivi si intrecciano con quelli operativi, possono nascere alleanze positive o tensioni sotterranee. Il compito dell’insegnante è quello di riconoscerle e trasformarle in occasioni educative, promuovendo una cultura della collaborazione e del rispetto reciproco.
Ruoli, status e leadership nelle dinamiche di gruppo scolastiche
Ogni gruppo, per funzionare in modo equilibrato, ha bisogno che i suoi membri riconoscano e rispettino ruoli e responsabilità. In ambito scolastico, questo principio assume un valore particolare: il docente, l’alunno, il dirigente, il collaboratore scolastico e persino le famiglie partecipano a una rete di ruoli interconnessi che definisce il clima e l’efficacia dell’ambiente educativo. Comprendere queste dinamiche significa comprendere, in fondo, come nasce la cultura collaborativa all’interno della scuola.
Il ruolo può essere definito come l’insieme delle aspettative di comportamento che gli altri hanno nei confronti di un individuo in un determinato contesto. È ciò che accade, ad esempio, quando gli studenti si aspettano dal docente coerenza, disponibilità o competenza, o quando i colleghi si aspettano collaborazione e rispetto delle regole condivise. Se tali aspettative non vengono esplicitate e negoziate, si generano facilmente fraintendimenti, frustrazioni o conflitti. Per questo motivo, in un gruppo di lavoro – come quello dei docenti di sostegno e curricolari – è fondamentale chiarire sin dall’inizio ruoli, obiettivi e confini operativi, così da favorire fiducia e coordinamento.
I ruoli, tuttavia, non sono tutti uguali. Alcuni sono acquisiti, cioè conquistati attraverso l’esperienza o la formazione (come quello di insegnante o dirigente), mentre altri sono ascritti, cioè legati a caratteristiche date, come il genere o l’età. Entrambe le categorie influenzano la percezione che gli altri hanno di noi e le aspettative che costruiscono. Quando queste aspettative diventano troppo rigide, rischiano di trasformarsi in stereotipi. È ciò che avviene, per esempio, quando si riduce il ruolo del docente di sostegno al solo accompagnamento dell’alunno con disabilità, ignorandone la funzione di facilitatore dell’intera classe. Combattere questi stereotipi è un compito educativo che richiede consapevolezza, comunicazione e collaborazione continua.
Il concetto di status, invece, si riferisce alla posizione che un individuo occupa all’interno del gruppo e al livello di riconoscimento o potere che ne deriva. Il dirigente scolastico, per esempio, ha uno status istituzionale più alto rispetto ai docenti, ma questo non implica necessariamente una maggiore autorevolezza nel gruppo: la vera leadership non dipende dalla gerarchia, bensì dal riconoscimento che gli altri le attribuiscono. Un docente può diventare leader perché riesce a ispirare fiducia, a gestire le relazioni con equilibrio e a promuovere un clima collaborativo. In questo senso, la leadership è una funzione relazionale più che un titolo: esiste solo se gli altri la riconoscono.
Ogni gruppo scolastico si struttura attorno a ruoli formali (definiti dall’organizzazione) e ruoli informali (che emergono spontaneamente). Gli studenti, ad esempio, attribuiscono ruoli informali ai compagni: il mediatore, il leader, il provocatore, il silenzioso. Anche tra i docenti si creano figure di riferimento o di equilibrio, spesso non dichiarate ma fondamentali per il funzionamento del gruppo. Il riconoscimento e la valorizzazione di queste figure aiutano a mantenere coesione e a distribuire la leadership in modo diffuso, evitando che il potere si concentri o che le decisioni dipendano da pochi.
In sintesi, comprendere e gestire ruoli, status e leadership all’interno delle dinamiche scolastiche significa promuovere un ambiente di lavoro basato sulla chiarezza, sulla fiducia e sulla reciprocità. Solo in questo modo il gruppo docente può diventare realmente una comunità professionale capace di innovare, includere e crescere insieme.
La gestione dei conflitti e la prevenzione del capro espiatorio
Ogni gruppo, per quanto coeso e ben organizzato, attraversa momenti di tensione. Il conflitto non è un segnale di fallimento, ma una tappa inevitabile e persino utile alla crescita collettiva. Nella scuola, dove convivono personalità, valori e stili professionali differenti, il conflitto è un elemento fisiologico: il punto non è evitarlo, ma imparare a gestirlo in modo costruttivo. Riconoscere la natura dei contrasti e affrontarli con un approccio riflessivo permette di trasformarli in opportunità di miglioramento e di apprendimento reciproco.
I conflitti nei gruppi scolastici possono nascere da molte cause: differenze di ruolo, incomprensioni comunicative, aspettative divergenti, o anche semplicemente da stress e sovraccarico emotivo. Spesso, dietro un disaccordo professionale si celano emozioni non espresse – come frustrazione o senso di non riconoscimento – che finiscono per alimentare la tensione. Per questo, una delle prime competenze relazionali del docente è saper “leggere” il clima del gruppo: osservare le dinamiche, notare chi parla e chi tace, comprendere se l’informazione circola liberamente o se qualcuno la trattiene come forma di potere.
La gestione del conflitto passa attraverso la comunicazione aperta e la condivisione delle informazioni. La scuola è un sistema complesso, e chi detiene le informazioni detiene spesso anche il controllo del gruppo. Promuovere la trasparenza, favorire momenti di confronto e stabilire canali comunicativi chiari riduce il rischio di incomprensioni e rafforza il senso di equità. È fondamentale che tutti i membri del team educativo si sentano ascoltati e valorizzati, anche quando emergono opinioni differenti.
Una dinamica particolarmente delicata nei gruppi è quella del capro espiatorio: la tendenza a concentrare su un singolo individuo le tensioni o le difficoltà collettive. Si tratta di un meccanismo psicologico di difesa che, a breve termine, ristabilisce un apparente equilibrio, ma che nel lungo periodo mina la coesione e la fiducia reciproca. Nei contesti scolastici, il capro espiatorio può essere un docente nuovo, un collega percepito come diverso o uno studente “difficile”. Riconoscere e disinnescare questo fenomeno è essenziale per mantenere la salute del gruppo.
Dal punto di vista pedagogico, prevenire il capro espiatorio significa lavorare sulla cultura del riconoscimento e della corresponsabilità. Nessuno è completamente causa o soluzione di un problema: ogni evento è il risultato di interazioni multiple. Il docente che sa gestire queste dinamiche aiuta il gruppo a spostare l’attenzione dal giudizio alla comprensione, dal “chi ha sbagliato” al “cosa possiamo migliorare insieme”. Nei casi più complessi, anche il supporto del dirigente o di un facilitatore esterno può essere utile per rinegoziare ruoli e ricostruire un clima di fiducia.
Infine, la prevenzione dei conflitti passa attraverso la cura dell’identità professionale. Ogni insegnante porta con sé motivazioni, valori e aspettative che vanno riconosciuti e armonizzati con la missione educativa comune. La consapevolezza di sé e del proprio modo di stare in relazione è la base per un equilibrio interiore che si riflette sulla qualità del gruppo. Una scuola che coltiva il dialogo, la fiducia e la riflessione condivisa non elimina i conflitti, ma li trasforma in strumenti di crescita collettiva e di innovazione didattica.
Compresenza e corresponsabilità: dal gruppo di lavoro al team educativo
Nel sistema scolastico italiano, la compresenza tra docenti è una realtà sempre più diffusa, soprattutto nei contesti inclusivi. Tuttavia, compresenza non significa automaticamente collaborazione. Essere presenti nello stesso spazio fisico non equivale a condividere una visione educativa o una responsabilità comune. Il passaggio cruciale sta nel trasformare la semplice coesistenza in un vero team educativo, dove ciascun membro riconosce il proprio ruolo e partecipa attivamente alla costruzione di un progetto condiviso.
Il concetto di corresponsabilità è al centro di questa trasformazione. Ogni insegnante, curricolare o di sostegno, è chiamato a farsi carico dell’apprendimento di tutti gli studenti, non solo di quelli formalmente affidati alla propria disciplina o al proprio profilo professionale. La normativa italiana, dalle Linee guida per l’integrazione scolastica fino alla Legge 107/2015, ribadisce che il docente di sostegno è “insegnante della classe”, non figura parallela o separata. La vera inclusione si realizza quando entrambi i docenti lavorano insieme per progettare, condurre e valutare le attività, condividendo tempi, spazi e finalità.
In questo senso, la compresenza diventa uno strumento pedagogico e non un vincolo organizzativo. Essa permette di osservare la classe da più punti di vista, di gestire meglio la diversità dei bisogni educativi e di proporre strategie didattiche diversificate. Quando i ruoli sono definiti ma flessibili, e le responsabilità distribuite in modo equo, il gruppo docente può agire come una vera équipe educativa. La corresponsabilità non significa uniformità, ma valorizzazione delle competenze specifiche: ogni docente porta un contributo unico, che si integra con quello degli altri.
Costruire un team educativo efficace richiede tempo e intenzionalità. All’inizio dell’anno scolastico, è utile dedicare momenti alla definizione condivisa degli obiettivi, alla pianificazione delle attività e alla contrattazione dei ruoli. Stabilire sin da subito come comunicare, come gestire le informazioni e come affrontare eventuali divergenze è un investimento che riduce i conflitti futuri e migliora la qualità del lavoro. Durante l’anno, questi accordi vanno periodicamente rivisti e adattati: la vita scolastica è dinamica, e così devono esserlo anche le relazioni professionali.
Un aspetto spesso trascurato è la circolazione delle informazioni. In molte scuole, la difficoltà a condividere documenti, decisioni o osservazioni sugli alunni crea fratture nel gruppo docente. Eppure, la gestione trasparente delle informazioni è una delle principali forme di potere all’interno delle organizzazioni: chi possiede i dati controlla i processi. Per questo, aprire canali comunicativi chiari, creare spazi di dialogo e condividere strumenti digitali comuni (registro elettronico, piattaforme collaborative, report condivisi) diventa un atto di democrazia professionale.
La compresenza, dunque, è molto più che un dispositivo organizzativo: è un laboratorio di cittadinanza professionale. Richiede ascolto, empatia e la capacità di negoziare senza perdere la propria identità. Ogni docente, nel gruppo, è chiamato a trovare un equilibrio tra autonomia e interdipendenza, tra iniziativa personale e visione comune. Quando questo equilibrio si realizza, la scuola smette di essere una somma di individualità e diventa una comunità educante, in cui il successo di uno coincide con il progresso di tutti.
Le fasi di sviluppo di un gruppo e il ruolo dell’empatia
Un gruppo non nasce compiuto: si forma, cresce e si trasforma nel tempo, attraversando fasi che ne determinano la stabilità e l’efficacia. Ogni équipe di docenti, così come ogni classe scolastica, vive cicli evolutivi che rispecchiano i processi di maturazione tipici di qualsiasi sistema umano. Conoscere queste fasi permette di riconoscere i momenti critici e di agire in modo consapevole per mantenere coesione e benessere nel gruppo.
Le teorie classiche di psicologia sociale – da Tuckman a Lewin – individuano generalmente quattro stadi fondamentali: formazione, conflitto, normazione e prestazione. Nella fase di formazione, i membri del gruppo si conoscono, esplorano le differenze e cercano di capire quale posizione occupare. È un momento di entusiasmo ma anche di incertezza: ognuno tende a mostrare la propria parte migliore, proprio come avviene nei primi tempi di una relazione. Subito dopo, emerge la fase del conflitto, quando iniziano a manifestarsi le divergenze, i diversi stili comunicativi, le personalità forti o le ambizioni professionali. È un passaggio naturale, che non va temuto ma gestito: attraverso il confronto, il gruppo impara a conoscersi davvero.
Segue la fase della normazione, in cui si definiscono regole, ruoli e consuetudini condivise. Le relazioni si fanno più stabili, cresce la fiducia reciproca e si rafforza la consapevolezza di far parte di una realtà comune. Infine, nella fase di prestazione, il gruppo diventa pienamente operativo: i membri collaborano in modo armonico, comunicano in modo efficace e riescono a concentrarsi sugli obiettivi comuni. In ambito scolastico, raggiungere questo livello significa avere una squadra di docenti capace di coordinarsi senza sforzo e una classe in cui ciascuno si sente parte attiva del processo di apprendimento.
In ogni fase, il ruolo dell’insegnante è anche quello di facilitatore relazionale. La competenza professionale non si limita all’organizzazione delle attività, ma comprende la capacità di percepire il clima emotivo, cogliere i segnali di tensione o isolamento e promuovere il dialogo. In questo senso, l’empatia è una risorsa imprescindibile: consente di comprendere i bisogni degli altri senza confonderli con i propri, di modulare la comunicazione e di intervenire in modo equilibrato nei momenti di difficoltà. L’empatia, tuttavia, non è semplice simpatia: è una competenza cognitiva ed emotiva che si sviluppa con la pratica riflessiva e l’ascolto consapevole.
Nei contesti educativi, l’empatia agisce su due piani. Da un lato, favorisce la coesione tra colleghi, creando un clima di fiducia e cooperazione; dall’altro, influenza direttamente la relazione con gli studenti. Un docente empatico è in grado di cogliere le sfumature emotive del gruppo classe, di capire quando è il momento di insistere e quando, invece, è necessario rallentare o cambiare approccio. Attraverso questo ascolto attivo, il docente contribuisce a costruire un ambiente di apprendimento sicuro, in cui ciascuno può esprimersi e sperimentare senza paura di essere giudicato.
Infine, va ricordato che l’empatia si nutre di tempo e cura. In un mondo scolastico spesso dominato dalla fretta, dedicare spazio all’ascolto reciproco e alla condivisione di esperienze non è una perdita di tempo, ma un investimento nella qualità educativa. Solo una scuola che sa “leggere” le emozioni dei suoi membri può davvero essere inclusiva e formativa. L’empatia diventa così il filo invisibile che tiene unito il gruppo e ne consente la crescita, rendendo possibile quella trasformazione che va dalla semplice collaborazione alla vera comunità professionale di apprendimento.
Dalla coprogettazione al coinsegnamento: modelli e buone pratiche
Il lavoro in compresenza trova la sua piena realizzazione quando si traduce in coprogettazione e coinsegnamento. Questi due concetti rappresentano l’evoluzione naturale della collaborazione tra docenti e costituiscono le basi di una didattica realmente inclusiva. Se la coprogettazione riguarda la fase di pianificazione, il coinsegnamento riguarda la fase operativa: insieme, delineano un modello di scuola che valorizza la pluralità delle competenze e la corresponsabilità educativa.
La coprogettazione consiste nel pianificare insieme obiettivi, contenuti, strategie e strumenti didattici, partendo da una visione condivisa della classe. Non si tratta semplicemente di suddividere compiti, ma di integrare prospettive. Quando due insegnanti progettano insieme, mettono in campo punti di vista differenti che arricchiscono la proposta formativa e permettono di rispondere in modo più flessibile ai bisogni degli studenti. Questa fase è anche il momento in cui si definiscono i ruoli, le responsabilità e le modalità di comunicazione: stabilire in anticipo chi guida una determinata attività, chi osserva, chi gestisce i gruppi o chi raccoglie dati di valutazione evita sovrapposizioni e garantisce chiarezza.
La coinsegnamento (o co-teaching) è la fase in cui la collaborazione prende forma concreta all’interno della classe. Esistono diversi modelli, ciascuno con vantaggi e limiti. Nel modello di osservazione, un docente conduce la lezione mentre l’altro osserva le dinamiche relazionali o raccoglie dati sugli apprendimenti; nel modello alternato, i docenti si alternano nella conduzione della lezione, offrendo punti di vista e stili diversi; nel modello parallelo, la classe viene suddivisa in due gruppi, ciascuno guidato da un insegnante; nel modello a tappe, i gruppi ruotano tra diverse attività condotte alternativamente dai docenti; infine, nel modello di team teaching, entrambi gli insegnanti condividono in modo paritario la responsabilità dell’insegnamento, interagendo simultaneamente con la classe. Quest’ultimo è il modello più complesso ma anche il più efficace, poiché valorizza pienamente la sinergia e la corresponsabilità.
Questi approcci non devono essere applicati rigidamente, ma adattati ai contesti e agli obiettivi. È possibile iniziare con modalità più semplici, per poi evolvere verso forme di collaborazione più integrate. La scelta del modello dipende da fattori come il numero di studenti, la complessità dei bisogni educativi, la disponibilità di tempo e la compatibilità tra i docenti. L’importante è che il coinsegnamento non si riduca a una mera presenza simultanea in aula: deve essere una pratica intenzionale, fondata su una chiara distribuzione dei ruoli e su un dialogo continuo.
Un altro aspetto cruciale è la coprogettazione estesa alla comunità educativa. Il docente inclusivo non lavora mai da solo: collabora con colleghi, famiglie, educatori, specialisti, associazioni e istituzioni del territorio. Questo livello di cooperazione, che può essere definito “a rete”, arricchisce la didattica e costruisce un tessuto di relazioni significative attorno allo studente. L’inclusione, infatti, non è solo una questione metodologica, ma una dimensione etica e sociale che richiede partecipazione collettiva.
Infine, il coinsegnamento favorisce anche la formazione continua tra pari. Osservare un collega in azione, confrontarsi su strategie e risultati, riflettere insieme sugli errori e sui successi crea un ambiente di apprendimento professionale che si autoalimenta. La classe diventa così non solo il luogo dell’insegnamento, ma anche quello della crescita dei docenti stessi. È in questo spazio condiviso che la compresenza trova il suo significato più profondo: trasformare la collaborazione in un’esperienza di apprendimento reciproco e di miglioramento continuo per tutta la comunità scolastica.
La covalutazione come momento di crescita condivisa
La valutazione è uno degli aspetti più delicati del processo educativo, poiché incide profondamente sulla motivazione degli studenti e sul senso di equità percepito nel contesto scolastico. Quando la valutazione diventa covalutazione, ossia un processo condiviso tra più docenti, essa assume un valore ancora più ampio: da atto individuale si trasforma in momento di confronto professionale e di crescita reciproca. Nella scuola inclusiva, la covalutazione rappresenta una delle pratiche più significative per garantire coerenza, trasparenza e qualità nel percorso formativo di ogni studente.
Valutare insieme significa innanzitutto condividere criteri, obiettivi e strumenti. Non è raro che due insegnanti, pur lavorando sulla stessa classe, adottino approcci diversi alla valutazione: uno può privilegiare l’aspetto cognitivo, l’altro quello relazionale o partecipativo. La covalutazione mira a unificare queste prospettive, affinché il giudizio finale rifletta una visione complessiva e integrata dello studente. Questo processo richiede un dialogo aperto e costante, fondato sulla fiducia reciproca e sulla capacità di negoziare punti di vista differenti senza annullare le singole competenze.
Un modello efficace di covalutazione prevede tre momenti principali. Il primo è la pianificazione, in cui si stabiliscono i criteri di valutazione, gli obiettivi didattici e le evidenze che si intendono osservare (partecipazione, progressi, strategie, atteggiamenti, risultati). Il secondo momento è quello della raccolta dei dati, che avviene durante le attività didattiche: entrambi i docenti osservano, annotano e confrontano i comportamenti e le prestazioni degli studenti. Infine, il terzo momento è la riflessione congiunta, in cui si analizzano le osservazioni e si formula un giudizio condiviso. In questa fase, la discussione non deve essere una semplice media aritmetica delle opinioni, ma un’occasione di apprendimento reciproco, in cui ciascun docente arricchisce l’altro di prospettive nuove.
La covalutazione è anche una pratica di democrazia educativa. Essa restituisce agli insegnanti il senso della responsabilità collegiale e offre agli studenti un messaggio potente: la valutazione non è un atto punitivo, ma un processo di crescita che coinvolge più sguardi. Quando i docenti valutano insieme, trasmettono un modello di cooperazione e di dialogo che gli studenti tendono a riprodurre nei loro rapporti. In questo modo, la covalutazione diventa un’esperienza formativa non solo per i docenti, ma anche per la classe intera.
Un ulteriore valore aggiunto è la funzione riflessiva della covalutazione. Discutere su criteri e risultati permette di mettere in discussione abitudini didattiche, rivedere strumenti di osservazione e individuare aree di miglioramento. La valutazione condivisa, dunque, non riguarda soltanto gli studenti, ma diventa anche una forma di autovalutazione del gruppo docente. È un processo di apprendimento reciproco, che alimenta la crescita professionale e contribuisce a sviluppare una cultura scolastica basata sulla cooperazione anziché sulla competizione.
Infine, la covalutazione rappresenta un tassello fondamentale del più ampio concetto di comunità di pratica: un gruppo di professionisti che apprende continuamente attraverso l’esperienza, il confronto e la riflessione. In una scuola che valorizza la corresponsabilità, valutare insieme significa insegnare insieme, progettare insieme e crescere insieme. È l’espressione più concreta di una didattica inclusiva, in cui ogni decisione nasce da un dialogo e ogni giudizio diventa occasione di apprendimento.
Le difficoltà nella compresenza e le strategie per superarle
Nonostante i numerosi vantaggi della compresenza e del lavoro in team, nella realtà scolastica non è raro incontrare difficoltà che ne ostacolano l’efficacia. Comprendere le origini di tali criticità è il primo passo per affrontarle in modo costruttivo, senza rinunciare alla collaborazione come principio cardine della scuola inclusiva. Le difficoltà possono derivare da fattori organizzativi, culturali o relazionali, e spesso si intrecciano tra loro, richiedendo strategie di intervento mirate e flessibili.
Una delle problematiche più comuni è la mancanza di tempo per la progettazione condivisa. Gli impegni didattici, burocratici e amministrativi dei docenti riducono gli spazi di confronto, costringendo a improvvisare le attività di compresenza o a gestirle in modo frammentario. Senza un coordinamento reale, il rischio è che la compresenza si riduca a una sovrapposizione di ruoli o, peggio, a una presenza silenziosa e marginale di uno dei due docenti. Per evitare questo, è necessario che la scuola riconosca formalmente la coprogettazione come parte integrante del lavoro docente, prevedendo tempi e strumenti adeguati per realizzarla.
Un’altra difficoltà è di tipo culturale. In molte realtà scolastiche persiste ancora una visione individualistica dell’insegnamento, dove ogni docente è abituato a lavorare in autonomia, difendendo la propria area di competenza. Questa impostazione, radicata nella tradizione, può generare diffidenza o resistenza nei confronti della collaborazione. Cambiare prospettiva significa promuovere una cultura dell’interdipendenza, in cui il successo di uno non si misura a scapito dell’altro, ma come risultato di un impegno condiviso. Le esperienze di formazione, i gruppi di lavoro e la partecipazione a reti di scuole inclusive possono essere strumenti efficaci per favorire questo cambiamento di mentalità.
Sul piano relazionale, la gestione delle differenze personali rappresenta una delle sfide più delicate. Stili comunicativi diversi, approcci pedagogici non sempre compatibili o semplici divergenze di carattere possono influenzare negativamente la qualità della collaborazione. In questi casi, è fondamentale che i docenti sviluppino competenze socio-emotive, come l’ascolto attivo, la capacità di negoziazione e la gestione empatica dei conflitti. Le differenze non devono essere percepite come un ostacolo, ma come una risorsa: prospettive diverse possono generare idee nuove e soluzioni più creative, a patto che siano accolte con rispetto e spirito di cooperazione.
Un ulteriore ostacolo è rappresentato dalla scarsa chiarezza dei ruoli. Quando non è definito chi fa cosa, o quando un docente si sente relegato a funzioni marginali, il gruppo perde coesione e motivazione. È indispensabile, quindi, chiarire fin dall’inizio le responsabilità di ciascuno, riconoscendo pari dignità professionale a entrambe le figure: il docente curricolare e il docente di sostegno sono due professionisti con competenze complementari, non gerarchicamente sovrapposti. La trasparenza nei ruoli favorisce la fiducia e previene la formazione di stereotipi, come l’idea che il docente di sostegno sia “l’aiuto” o “l’assistente” del collega.
Infine, una difficoltà spesso trascurata è la fatica emotiva che deriva dal lavoro educativo in compresenza. Confrontarsi quotidianamente con bisogni complessi, gestire conflitti, mediare tra diverse aspettative e mantenere un equilibrio relazionale costante può essere impegnativo. Per questo, è importante prevedere momenti di confronto e di sostegno tra pari, dove i docenti possano condividere esperienze, difficoltà e buone pratiche. La costruzione di un clima di benessere professionale non è un lusso, ma una condizione necessaria per garantire efficacia didattica e continuità nel tempo.
In sintesi, le difficoltà della compresenza non devono essere interpretate come limiti insormontabili, ma come tappe naturali di un processo di crescita professionale. Affrontarle con consapevolezza, pianificazione e dialogo consente di trasformarle in opportunità per rafforzare la cultura collaborativa della scuola e costruire una comunità educativa più solida e coesa.
Sintesi conclusiva e visione evolutiva del docente per l’inclusione
Il percorso verso una scuola realmente inclusiva non si costruisce con la sola buona volontà, ma con un’evoluzione culturale e professionale che coinvolge ogni docente. La compresenza, la corresponsabilità e la collaborazione non sono strumenti tecnici, ma forme di pensiero educativo, modi di interpretare la scuola come comunità di apprendimento. Al centro vi è una figura docente che non agisce più in solitudine, ma come parte di un sistema relazionale interdipendente, capace di coniugare autonomia e cooperazione.
La sfida dell’inclusione richiede oggi un docente capace di assumere una visione sistemica: comprendere che ogni scelta didattica ha ripercussioni sull’intero gruppo classe, che ogni relazione influenza il clima di apprendimento, e che ogni decisione si inserisce in un contesto più ampio di corresponsabilità. L’insegnante diventa così un regista educativo, un professionista che orchestra competenze, risorse e sensibilità diverse, creando le condizioni per la partecipazione di tutti. In questa prospettiva, la diversità non è più un problema da gestire, ma una ricchezza da valorizzare.
La collaborazione professionale è la chiave di questa trasformazione. Quando i docenti condividono esperienze, si confrontano sulle pratiche, si osservano reciprocamente e riflettono insieme sui risultati, la scuola si trasforma in un laboratorio di ricerca continua. Si sviluppa una cultura del miglioramento che supera la frammentazione delle competenze e restituisce alla professione docente un significato più profondo: quello di una missione collettiva, fondata su conoscenza, riflessione e cura. In questo senso, l’empatia, la riflessività e la capacità di cooperare non sono competenze accessorie, ma componenti essenziali dell’identità professionale.
Essere un docente per l’inclusione significa anche saper gestire il cambiamento. Le classi di oggi sono sempre più eterogenee per provenienza, abilità, interessi e linguaggi. Ogni giorno si presentano sfide nuove, che richiedono flessibilità, aggiornamento continuo e apertura mentale. La tecnologia, le neuroscienze, la psicologia dell’apprendimento e le politiche educative offrono strumenti preziosi, ma nessuno di essi è efficace senza una solida base relazionale e cooperativa. La scuola del futuro si costruisce attraverso docenti capaci di lavorare insieme, di sostenersi e di apprendere reciprocamente.
La visione evolutiva del docente inclusivo si fonda dunque su quattro pilastri: la riflessione, la collaborazione, la corresponsabilità e la ricerca. Riflettere sul proprio agire per migliorarlo; collaborare per ampliare la prospettiva; condividere la responsabilità educativa come valore etico; e fare ricerca per innovare costantemente la didattica. In questo equilibrio tra mente e cuore, tra professionalità e umanità, il docente diventa non solo trasmettitore di saperi, ma promotore di cultura e di crescita collettiva.
In conclusione, la compresenza non è semplicemente una modalità organizzativa, ma il simbolo di un cambiamento più profondo: quello di una scuola che si riconosce come comunità. Una scuola in cui i docenti non lavorano accanto, ma insieme; in cui gli studenti non competono, ma cooperano; in cui la differenza non divide, ma unisce. È in questa visione condivisa che si realizza il vero senso dell’inclusione: un progetto umano e professionale che cresce nel dialogo, nella fiducia e nella corresponsabilità quotidiana.
Box pratici riassuntivi
Punti chiave
- La collaborazione tra docenti non è solo un metodo di lavoro, ma un valore educativo che rafforza l’inclusione e la qualità della didattica.
- Un gruppo funziona solo se esistono interdipendenza e obiettivi condivisi.
- Ruoli, status e leadership devono essere esplicitati e negoziati per garantire chiarezza e fiducia reciproca.
- Il conflitto è una fase naturale della vita di un gruppo e, se gestito con empatia, diventa occasione di crescita.
- La compresenza si fonda su corresponsabilità, co-progettazione, coinsegnamento e covalutazione.
- L’empatia, la riflessività e la comunicazione trasparente sono competenze professionali centrali.
- La cultura della collaborazione si costruisce nel tempo, attraverso dialogo, ascolto e sostegno reciproco.
Errori comuni
- Confondere la compresenza con la semplice coesistenza nello stesso spazio.
- Evitare il conflitto anziché gestirlo.
- Lasciare ruoli e aspettative implicite, generando incomprensioni.
- Considerare la valutazione come un atto individuale e non come un momento di confronto collegiale.
- Pensare che la collaborazione sia spontanea, senza dedicare tempo alla progettazione comune.
Checklist per il docente inclusivo
- Ho definito insieme ai colleghi obiettivi, ruoli e modalità di lavoro?
- Dedico tempo alla progettazione e alla riflessione condivisa?
- Osservo e valuto costantemente il clima del gruppo classe?
- Mi impegno a gestire i conflitti con empatia e comunicazione aperta?
- Condivido informazioni e decisioni in modo trasparente?
- Promuovo la corresponsabilità e la partecipazione di tutti gli studenti?
Suggerimenti operativi
- Pianifica incontri periodici di coprogettazione e revisione delle attività.
- Utilizza strumenti digitali collaborativi (Drive, Classroom, Padlet) per mantenere un dialogo costante.
- Costruisci un linguaggio comune con i colleghi, evitando tecnicismi che creano distanza.
- Introduci momenti di riflessione e autovalutazione anche nel gruppo docente.
- Ricorda che la relazione è sempre il primo veicolo di apprendimento: curala quanto i contenuti.
Fonti e letture consigliate
- Ministero dell’Istruzione e del Merito, Linee guida per l’inclusione scolastica degli alunni con disabilità, 2022.
- Spaltro, G., Psicologia dei gruppi e delle organizzazioni, FrancoAngeli, 1995.
- Lewin, K., Field Theory in Social Science, Harper & Row, 1951.
- Tuckman, B.W., Developmental Sequence in Small Groups, Psychological Bulletin, 1965.
- De Longo, P., Le competenze del docente di sostegno: una rassegna della letteratura internazionale, Rivista Italiana di Pedagogia e Didattica, 2024.
- CASEL (Collaborative for Academic, Social, and Emotional Learning), Framework for Systemic SEL Implementation, 2023.
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