Il sostegno come diritto e non come obbligo
Il sostegno scolastico rappresenta uno dei cardini del sistema di inclusione italiano. È fondamentale chiarire che non si tratta di un obbligo, bensì di un diritto riconosciuto agli studenti con disabilità. In termini giuridici, il diritto viene spesso definito come una sintesi di potere e libertà: libertà perché il titolare può scegliere se esercitarlo o meno; potere perché, una volta esercitato, ha la forza di incidere sui rapporti con le istituzioni e gli altri soggetti coinvolti.
Questo significa che le famiglie possono decidere se presentare la documentazione che attesti la disabilità ai fini scolastici. Qualora non lo facciano, l’alunno non avrà accesso al sostegno, nonostante ne avrebbe titolo. La scelta, però, non è priva di conseguenze: se la mancata richiesta pregiudica il diritto allo studio del minore, la responsabilità genitoriale può essere messa in discussione e il dirigente scolastico è tenuto a segnalare la situazione al Tribunale per i minorenni.
Il Piano Educativo Individualizzato (PEI) e il passaggio di grado
Il PEI (Piano Educativo Individualizzato) è lo strumento principale per garantire un percorso scolastico personalizzato agli studenti con disabilità. Al momento del passaggio da un ordine di scuola a quello successivo (ad esempio dalla primaria alla secondaria di primo grado), la famiglia non ha l’obbligo automatico di ripresentare la documentazione: può scegliere di confermare o meno l’attivazione del sostegno.
Questa facoltà ribadisce il carattere di diritto del sostegno e non di imposizione. Tuttavia, rinunciare al PEI significa privare lo studente di un progetto educativo calibrato sulle proprie necessità, con possibili ripercussioni sul suo successo formativo.
In questo contesto, la normativa richiama un equilibrio delicato: da un lato la libertà di scelta della famiglia, dall’altro la responsabilità di garantire il pieno sviluppo delle potenzialità del minore.
Il DPR 81/2009 e la costituzione delle classi
Un altro punto centrale riguarda la formazione delle classi che accolgono studenti con disabilità. L’articolo 5 del DPR 81/2009 stabilisce che le classi prime con la presenza di alunni con disabilità non dovrebbero superare i 20 studenti. Questa soglia non è casuale: nasce dall’esigenza di favorire un ambiente didattico più inclusivo, con un numero di alunni che consenta una maggiore attenzione individualizzata.
Tuttavia, la normativa non va interpretata in modo rigido. La giurisprudenza ha spesso sottolineato che non basta semplicemente rispettare il limite numerico: se la classe supera i 20 studenti, l’amministrazione scolastica deve motivare la scelta, spiegando le ragioni organizzative o logistiche che hanno portato a superare la soglia. In altre parole, non è il limite di 20 a essere assoluto, ma l’obbligo di giustificazione in caso di deroga.
Inclusione come principio di sistema
Il sostegno scolastico non è un beneficio accessorio, ma un elemento strutturale del modello inclusivo italiano, riconosciuto a livello internazionale come tra i più avanzati in Europa. Dal 1992, con la Legge 104, il principio dell’integrazione scolastica ha posto al centro non solo l’assistenza all’alunno con disabilità, ma la trasformazione dell’intero ambiente scolastico in senso inclusivo.
Questa visione sposta il baricentro dall’idea di un supporto individuale a quella di una responsabilità collettiva. Non è soltanto l’insegnante di sostegno ad avere un ruolo, ma l’intero consiglio di classe è chiamato a lavorare in rete, affinché la scuola diventi un contesto capace di accogliere e valorizzare la diversità come risorsa.
Una prospettiva internazionale
Se confrontiamo l’esperienza italiana con altri Paesi europei, emerge una differenza significativa: in molte realtà l’alunno con disabilità viene inserito in scuole speciali o in percorsi separati. L’Italia, al contrario, ha scelto la via dell’inclusione totale, riconoscendo che la presenza in classe di studenti con diverse abilità arricchisce non solo loro stessi, ma l’intero gruppo. Questo modello, pur con le sue criticità applicative, rappresenta una best practice citata anche da organismi come l’ONU e l’UNESCO.
La scuola secondaria di secondo grado tra riforme e nuovi scenari
Dal riordino Gelmini alle riforme più recenti
Il sistema della scuola secondaria di secondo grado ha vissuto negli ultimi quindici anni una trasformazione profonda. Il punto di svolta si colloca nel 2010, con il cosiddetto riordino Gelmini, che attraverso tre regolamenti (DPR 87, 88 e 89) ha ridisegnato l’assetto dei professionali, dei tecnici e dei licei.
Successivamente, il D.Lgs. 61/2017 ha riformato in modo specifico gli istituti professionali, superando di fatto il DPR 87, mentre per i tecnici e i licei restano tuttora in vigore rispettivamente il DPR 88 e il DPR 89.
Queste riforme hanno introdotto principi comuni che ancora oggi costituiscono la cornice normativa per gli istituti superiori.
Autonomia e flessibilità dei curricula
Uno dei tratti caratterizzanti del riordino è il riconoscimento di autonomia e flessibilità nella progettazione dei curricula. Le scuole possono modulare parte del monte ore annuale per adattare l’offerta formativa alle esigenze del territorio e agli interessi degli studenti, purché nel rispetto dei limiti ministeriali:
- gli obiettivi generali e specifici di apprendimento fissati a livello centrale,
- il monte ore minimo delle discipline.
L’autonomia non è dunque libertà assoluta, ma una responsabilità funzionale, finalizzata a garantire il diritto al successo formativo. Quando si superano i confini stabiliti, è necessario chiedere autorizzazioni specifiche per avviare sperimentazioni.
Risultati di apprendimento e competenze
Con la riforma, gli obiettivi didattici non sono più descritti come semplici conoscenze da trasmettere, ma come “risultati di apprendimento”: un concetto che integra conoscenze, abilità e competenze.
Questa prospettiva è coerente con la cornice europea delle qualifiche (EQF), che permette di rendere i titoli di studio confrontabili e riconoscibili a livello internazionale.
Dipartimenti e progettazione interdisciplinare
Il collegio dei docenti si articola in dipartimenti disciplinari, gruppi di lavoro che hanno il compito di progettare percorsi formativi coerenti e di individuare strategie didattiche orientate alle competenze.
Si tratta di un passaggio culturale importante: la scuola non è più centrata sulla somma di discipline isolate, ma sulla costruzione di itinerari integrati che preparino gli studenti a muoversi in contesti complessi, in linea con le esigenze del mondo del lavoro e della cittadinanza attiva.
Metodologie innovative: laboratori e CLIL
Tra i tratti comuni introdotti dalla riforma si segnala anche la centralità dei laboratori, espressione del modello pedagogico del learning by doing (“imparare facendo”), che affonda le radici nell’attivismo pedagogico del Novecento.
Inoltre, dal quinto anno tutti gli istituti devono prevedere l’insegnamento in lingua straniera di una disciplina non linguistica (CLIL – Content and Language Integrated Learning), un approccio che unisce competenze disciplinari e linguistiche e che favorisce l’internazionalizzazione dei percorsi.
Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento (PCTO)
Un ulteriore tassello riguarda i PCTO, i percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento, eredi della precedente “alternanza scuola-lavoro”. Dal 2025, un decreto legge li ha ridenominati “formazione scuola-lavoro”.
Il monte ore minimo obbligatorio è differenziato:
- 90 ore per i licei,
- 150 ore per gli istituti tecnici,
- 210 ore per gli istituti professionali.
Dal 2024/25 i PCTO sono diventati requisito necessario per l’ammissione all’esame di Stato. Questa scelta normativa mira a rafforzare il collegamento tra scuola e mondo del lavoro, pur mantenendo differenze quantitative e qualitative a seconda dell’indirizzo di studi.
Un modello in evoluzione
L’Italia, con le riforme Gelmini e quelle successive, ha avviato un percorso che coniuga centralità ministeriale e autonomia scolastica. Si tratta di un equilibrio complesso, che da un lato tutela l’uniformità nazionale dei titoli di studio, dall’altro offre alle scuole spazi per rispondere alle esigenze locali e per innovare metodologie didattiche.
La riforma degli istituti professionali del 2017: personalizzazione e innovazione didattica
Un nuovo modello per i professionali
Con il D.Lgs. 61/2017, gli istituti professionali italiani hanno conosciuto una svolta significativa, che li ha collocati in una posizione di avanguardia rispetto al panorama scolastico nazionale.
Questa riforma, figlia della legge sulla “Buona Scuola” (L. 107/2015), ha superato l’impianto del DPR 87/2010 e ha introdotto strumenti e metodologie mirate a rendere i percorsi più flessibili, personalizzati e vicini al mondo del lavoro.
Il cambiamento non è solo normativo, ma culturale: si passa da una scuola che propone modelli standardizzati a una scuola che cerca di modellarsi sulle caratteristiche dei singoli studenti e sulle esigenze dei contesti produttivi.
Autonomia e flessibilità: due leve centrali
La riforma ha ampliato le quote di autonomia e flessibilità, offrendo agli istituti professionali la possibilità di gestire in modo più dinamico l’orario complessivo.
- Nel biennio, le scuole possono utilizzare fino al 20% del monte ore per potenziare insegnamenti obbligatori o introdurre nuovi insegnamenti.
- Nel triennio, alla quota del 20% si aggiunge un ulteriore 40% di flessibilità da destinare alle aree di indirizzo, arrivando così a incidere fino al 60% del totale.
Questo significa che gli istituti professionali hanno uno spazio di manovra molto ampio per adattare i curricula, rafforzando materie caratterizzanti, creando curvature specifiche e rendendo i percorsi più aderenti alle necessità del territorio.
Il Progetto Formativo Individuale (PFI)
Un’altra innovazione chiave è l’introduzione del Progetto Formativo Individuale (PFI), che deve essere elaborato entro il 31 gennaio del primo anno e aggiornato lungo tutto il percorso scolastico.
Il PFI consente di calibrare la didattica sulle esigenze del singolo studente, prevedendo la possibilità di destinare fino a 264 ore nel biennio alla personalizzazione dei percorsi. Ogni studente è accompagnato da un docente tutor, che lo segue e lo sostiene nel raggiungimento degli obiettivi.
Questa misura segna un cambiamento di prospettiva: mentre in passato la personalizzazione era spesso considerata un intervento legato agli alunni con disabilità o bisogni educativi speciali, oggi diventa un diritto per tutti, riconoscendo la diversità come condizione comune dell’apprendimento.
Le Unità di Apprendimento (UDA)
La riforma ha introdotto anche le Unità di Apprendimento (UDA), definite dal DM 92/2018 come insiemi significativi di competenze, abilità e conoscenze. Le UDA sono la base per la progettazione didattica, la valutazione e la certificazione delle competenze.
Rispetto alle tradizionali unità didattiche, le UDA hanno un carattere più interdisciplinare e laboratoriale, promuovendo attività che intrecciano saperi diversi e che favoriscono l’acquisizione di competenze trasversali.
Orientamento e raccordo con il lavoro
La riforma del 2017 ha inoltre rafforzato il legame tra scuola e mondo del lavoro. Tra le misure introdotte:
- possibilità di stipulare contratti di apprendistato formativo di primo livello, rivolti ai giovani dai 15 ai 25 anni;
- attivazione di partenariati territoriali con imprese, università, enti locali e istituzioni di formazione;
- valorizzazione dei Comitati Tecnico Scientifici, con il compito di mantenere costante il dialogo tra scuole e realtà produttive.
In questo modo, l’istruzione professionale diventa un punto d’incontro tra formazione scolastica e competenze richieste dal tessuto socio-economico.
Un laboratorio di inclusione
Infine, gli istituti professionali rappresentano oggi un laboratorio privilegiato di inclusione. La forte attenzione alla personalizzazione dei percorsi e alla dimensione pratica dell’apprendimento permette di rispondere meglio alla varietà di studenti che li frequentano, inclusi coloro con disabilità o bisogni educativi speciali.
Il principio che guida la riforma è chiaro: ogni studente deve poter costruire un percorso unico, capace di valorizzarne le potenzialità individuali e di inserirlo attivamente nel contesto sociale e lavorativo.
Il modello “4+2” e la riforma in itinere di tecnici e professionali
Origini della riforma e legame con il PNRR
La riforma dell’istruzione tecnica e professionale rientra tra gli interventi previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). L’obiettivo dichiarato è quello di rafforzare il collegamento tra scuola e mondo del lavoro, in un’ottica di filiera formativa continua, che accompagni lo studente dalla scuola superiore fino alla formazione terziaria professionalizzante.
Il percorso normativo parte con il D.L. 144/2022 e trova ulteriori sviluppi nel D.L. 45/2025, ma la piena attuazione è prevista solo dopo l’approvazione di un apposito regolamento attuativo, destinato a sostituire definitivamente il DPR 88/2010 sui tecnici.
Il modello “4+2”
La sperimentazione denominata “4+2” nasce dall’idea di accorciare il ciclo scolastico superiore, riducendo i cinque anni tradizionali a quattro anni, per poi proseguire con un biennio presso gli ITS Academy (Istituti Tecnologici Superiori, già ITS).
- I quattro anni scolastici coprono integralmente gli obiettivi di apprendimento previsti per i percorsi quinquennali tradizionali.
- I due anni successivi (1800 ore suddivise in quattro semestri) completano la formazione con un taglio professionalizzante e fortemente legato al tessuto produttivo.
La sperimentazione è partita nell’anno scolastico 2024/25, prosegue nel 2025/26 e, secondo le previsioni, dal 2026/27 dovrebbe uscire dalla fase sperimentale per diventare ordinamentale, ossia stabilmente inserita nell’offerta formativa delle regioni.
Continuità con gli ITS Academy
Il cuore del modello sta nella continuità tra scuola secondaria e ITS Academy. L’idea è che studenti formati con percorsi quadriennali trovino naturale prosecuzione nei corsi biennali professionalizzanti, creando un canale fluido verso occupazioni altamente specializzate.
Non si tratta, però, di un vincolo: l’iscrizione agli ITS resta una scelta dello studente. Tuttavia, l’impostazione di tutto il ciclo “4+2” è pensata per agevolare questo passaggio, integrando già nel quadriennio metodologie e contenuti coerenti con i successivi percorsi.
Metodologie innovative e internazionalizzazione
La riforma prevede un forte investimento nelle metodologie didattiche innovative:
- laboratorialità,
- didattica per competenze,
- esperienze on the job e apprendistato formativo,
- potenziamento dei moduli CLIL in lingua straniera.
Un altro punto chiave è l’internazionalizzazione, con l’obiettivo di rendere i percorsi tecnici e professionali più attrattivi e competitivi anche a livello europeo.
Ruolo delle Regioni e partenariati territoriali
Poiché l’offerta formativa degli istituti tecnici e professionali ricade anche sotto la competenza regionale, il modello “4+2” si sviluppa attraverso accordi di rete che coinvolgono scuole, CPIA (Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti), ITS Academy, università, enti locali e imprese.
In questo modo si costruiscono partenariati territoriali capaci di sostenere percorsi coerenti con le esigenze produttive e occupazionali delle singole aree del Paese.
Dal progetto alla struttura stabile
Quando la sperimentazione diventerà ordinamentale, non sarà più necessario per le scuole candidarsi anno per anno con un progetto e un accordo specifico. Il modello “4+2” diventerà parte integrante della programmazione regionale dell’offerta formativa, assicurando una maggiore stabilità e una più ampia diffusione.
Criticità e prospettive
Il progetto presenta indubbi punti di forza: maggiore coerenza tra formazione e mercato del lavoro, tempi scolastici più agili, centralità delle competenze e apertura internazionale. Tuttavia, restano aperti alcuni nodi:
- il rischio di ridurre gli spazi dedicati alla cultura generale,
- la necessità di garantire risorse e organici adeguati per sostenere la laboratorialità,
- la sfida di mantenere un equilibrio tra uniformità nazionale e differenziazione regionale.
La cornice normativa dell’inclusione scolastica: dalla Legge 104/1992 al ruolo del docente di sostegno
La Legge 104/1992: un punto di svolta
Il vero fondamento dell’inclusione scolastica in Italia è rappresentato dalla Legge 104 del 1992, normativa quadro che ha sancito il diritto delle persone con disabilità a partecipare pienamente alla vita sociale e scolastica.
L’articolo 12, in particolare, riconosce il diritto all’educazione e all’istruzione in ogni ordine e grado, affermando il principio di integrazione scolastica. Questo ha segnato il superamento definitivo del modello delle scuole speciali, a favore dell’inserimento degli alunni con disabilità nelle classi comuni.
La 104/92 si colloca in continuità con altre norme fondamentali, come la Costituzione italiana (artt. 3, 34 e 38) e la Legge 517/1977, che già aveva introdotto l’abolizione delle classi differenziali.
La legislazione secondaria: linee guida e decreti
Alla legge quadro si sono affiancate negli anni diverse fonti secondarie che hanno definito strumenti e modalità operative. Tra le più rilevanti:
- il DPR 275/1999 sull’autonomia scolastica, che consente di personalizzare i percorsi didattici in funzione delle necessità degli studenti;
- le Linee guida ministeriali del 2009 per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità, che hanno chiarito il ruolo del docente di sostegno e la corresponsabilità del consiglio di classe;
- i Decreti attuativi della L. 107/2015 (Buona Scuola), che hanno rafforzato la formazione degli insegnanti sul tema dell’inclusione;
- il più recente D.Lgs. 66/2017, successivamente modificato dal D.Lgs. 96/2019, che ha ridefinito la struttura del Piano Educativo Individualizzato (PEI) e i Gruppi di Lavoro Operativi per l’Inclusione (GLO).
Il docente di sostegno: una risorsa per la classe
Uno dei punti cardine delle linee guida del 2009 è la definizione del ruolo del docente di sostegno. Non si tratta di una figura assegnata esclusivamente allo studente con disabilità, ma a tutta la classe in cui l’alunno è inserito.
Questa visione nasce dall’idea che l’inclusione non debba dipendere solo dalla presenza fisica del docente, ma dal funzionamento complessivo della classe. Il sostegno, quindi, è una risorsa collettiva che lavora in rete con i docenti curricolari, affinché il gruppo-classe diventi realmente inclusivo anche in assenza del suo intervento diretto.
Individualizzazione e personalizzazione: oltre la disabilità
Un aspetto innovativo introdotto negli ultimi decenni è l’estensione del principio di personalizzazione a tutti gli studenti, non solo a quelli con disabilità. Gli strumenti dell’autonomia scolastica (artt. 4 e 5 del DPR 275/1999) consentono di adattare percorsi e metodologie alle esigenze di ciascuno, riconoscendo che la diversità è una condizione comune e non un’eccezione.
Questo approccio si riflette nell’assegnazione del docente di sostegno alla classe, non al singolo alunno: la sua funzione è quella di facilitare la costruzione di ambienti didattici accessibili, promuovere la collaborazione tra pari e sostenere la crescita di tutti.
Una prospettiva culturale e pedagogica
L’inclusione, più che un dispositivo normativo, è una visione educativa. Significa riconoscere che la scuola deve essere uno spazio capace di accogliere ogni studente, valorizzandone capacità e potenzialità.
In questo senso, il modello italiano rappresenta un unicum a livello internazionale: mentre molti Paesi mantengono sistemi separati per gli alunni con disabilità, l’Italia ha scelto la via dell’integrazione totale, in linea con la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (ratificata nel 2009).
Strumenti operativi per l’inclusione: PEI, GLO e percorsi personalizzati
Il Piano Educativo Individualizzato (PEI)
Il PEI rappresenta lo strumento cardine dell’inclusione scolastica. È un documento progettuale che definisce gli obiettivi, le metodologie e le strategie per il percorso educativo e didattico dello studente con disabilità.
Il D.Lgs. 66/2017, integrato dal D.Lgs. 96/2019, ne ha ridefinito la struttura, rendendolo un documento più dettagliato e coerente con il profilo di funzionamento dell’alunno.
Il PEI viene elaborato e aggiornato dai Gruppi di Lavoro Operativi per l’Inclusione (GLO), che coinvolgono:
- i docenti della classe,
- la famiglia,
- i referenti sanitari,
- eventuali educatori o assistenti alla comunicazione.
Questa composizione collegiale garantisce una visione completa delle esigenze dello studente, rafforzando la collaborazione tra scuola, famiglia e servizi territoriali.
Il ruolo del GLO
Il GLO non ha solo il compito di redigere il PEI, ma anche di monitorarne l’attuazione e di proporre eventuali modifiche in itinere. In questo senso, rappresenta una sede privilegiata di dialogo e corresponsabilità educativa.
Il suo lavoro si inserisce nella più ampia strategia di personalizzazione, in cui le scelte didattiche non sono calate dall’alto ma condivise tra tutti i soggetti coinvolti.
Valutazione e inclusione
Uno dei nodi più delicati riguarda la valutazione degli studenti con disabilità. La normativa stabilisce che debba essere sempre coerente con gli obiettivi definiti nel PEI.
- Per gli studenti che seguono obiettivi equipollenti a quelli della classe, la valutazione è identica a quella dei compagni.
- Per gli studenti con obiettivi differenziati, la valutazione è personalizzata e ha pieno valore legale, pur non garantendo la spendibilità del titolo di studio in termini equiparabili.
Questa distinzione riflette la tensione tra equità e inclusione: assicurare pari dignità a percorsi differenti, senza però snaturare il significato dei titoli rilasciati.
Inclusione nei PCTO
Un capitolo particolare riguarda l’inserimento degli studenti con disabilità nei PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento, oggi “formazione scuola-lavoro”).
Sebbene le Linee guida del 2019 avessero preannunciato indicazioni specifiche per questi studenti, tali disposizioni non sono mai state emanate. Di conseguenza, le scuole devono fare riferimento alle stesse regole generali previste per tutti, adattandole caso per caso.
Nella pratica, il tutor interno individuato dal consiglio di classe è spesso il docente di sostegno, che collabora con il tutor esterno (aziendale o dell’ente ospitante). Questa sinergia è essenziale per garantire che l’esperienza sia realmente inclusiva e formativa.
Sicurezza e responsabilità
La questione della sicurezza negli stage e nei tirocini ha assunto particolare rilevanza a seguito di gravi incidenti di cronaca che hanno coinvolto studenti in alternanza scuola-lavoro.
Oggi le aziende sono tenute a integrare nel proprio Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) una sezione specifica dedicata agli studenti in PCTO, con l’indicazione dei dispositivi di protezione individuale da fornire (caschi, scarpe antiscivolo, guanti, ecc.).
La scuola, dal canto suo, deve vigilare affinché il percorso sia adeguato al profilo dello studente e non comporti rischi sproporzionati.
Una sfida di sistema
Gli strumenti normativi e organizzativi sono numerosi, ma la loro efficacia dipende dalla capacità delle scuole di attuarli in modo coerente e collaborativo. Il PEI e il GLO rappresentano le basi formali, ma è la cultura dell’inclusione a fare la differenza.
Solo quando la personalizzazione diventa pratica diffusa e condivisa, e non un mero adempimento burocratico, l’inclusione scolastica riesce a tradursi in reale opportunità di crescita per tutti gli studenti.
Oltre la disabilità: l’inclusione come principio per tutti
Dal sostegno all’inclusione universale
L’inclusione scolastica in Italia nasce con l’obiettivo di garantire il diritto allo studio agli studenti con disabilità. Col tempo, però, questo principio si è ampliato fino a diventare una visione universale, che riguarda l’intera comunità scolastica.
La scuola contemporanea è chiamata non solo a integrare chi presenta certificazioni formali, ma anche a rispondere ai Bisogni Educativi Speciali (BES), categoria introdotta con la Direttiva ministeriale del 2012.
Rientrano nei BES tre grandi aree:
- disabilità certificata, ai sensi della Legge 104/1992;
- disturbi specifici dell’apprendimento (DSA), regolati dalla Legge 170/2010;
- altri bisogni educativi derivanti da svantaggi linguistici, culturali o socio-economici.
Personalizzazione come diritto di tutti
Il concetto di personalizzazione dell’apprendimento, inizialmente pensato per gli alunni con disabilità, oggi riguarda l’intera popolazione scolastica. Gli articoli 4 e 5 del DPR 275/1999 sull’autonomia scolastica stabiliscono che le istituzioni scolastiche hanno il compito di adattare i percorsi didattici alle esigenze di ciascun alunno, con l’obiettivo di garantire il successo formativo.
Ciò significa che ogni studente, indipendentemente dalla presenza o meno di una diagnosi, ha diritto a una didattica che valorizzi i suoi punti di forza e che sostenga le aree di maggiore difficoltà.
Il ruolo del docente e della comunità educante
In questa prospettiva, il docente di sostegno non è più visto come “l’insegnante dell’alunno con disabilità”, ma come una risorsa per l’intero gruppo classe.
Parallelamente, i docenti curricolari sono chiamati a differenziare metodologie e strumenti per rispondere ai diversi stili cognitivi, alle motivazioni e alle condizioni personali degli studenti.
Il concetto di comunità educante si rafforza: la scuola non è un insieme di singoli insegnanti, ma un organismo collettivo che coopera per creare ambienti inclusivi. In questo quadro, anche le figure non strettamente didattiche (educatori, assistenti, tutor aziendali nei PCTO) hanno un ruolo importante nel costruire percorsi formativi coerenti.
Estendere il principio di inclusione a tutti gli studenti significa anche affrontare il tema della giustizia sociale. Le disuguaglianze educative legate al contesto socio-economico, alle condizioni familiari o alla provenienza culturale possono diventare barriere tanto quanto una disabilità certificata.
In tal senso, l’inclusione non è soltanto una strategia pedagogica, ma anche una scelta di politica pubblica, che mira a ridurre le disparità e a garantire pari opportunità.
Uno sguardo internazionale
Il modello italiano si distingue da molti altri sistemi educativi europei e mondiali. In Paesi come la Germania o la Francia, ad esempio, la presenza di scuole speciali resta significativa; l’inclusione è parziale e spesso riservata a specifiche tipologie di disabilità.
L’Italia, invece, con la scelta dell’inclusione universale, si pone come esempio di scuola per tutti, in linea con le raccomandazioni dell’UNESCO sull’Educazione Inclusiva (2020), che sottolineano la necessità di considerare la diversità non come un problema da gestire, ma come un valore da promuovere.
Prospettive future e criticità del modello italiano di inclusione
Un modello di riferimento internazionale
L’Italia è considerata a livello internazionale un apripista nell’inclusione scolastica. L’eliminazione delle scuole speciali, l’inserimento degli studenti con disabilità nelle classi comuni e il riconoscimento del sostegno come diritto individuale hanno segnato un passaggio epocale. Organismi come l’ONU e l’UNESCO hanno più volte citato l’esperienza italiana come buona pratica, evidenziandone il valore culturale e sociale.
Tuttavia, la forza del modello non cancella le sfide quotidiane che le scuole affrontano: dalla gestione degli organici alla carenza di risorse, dalla formazione degli insegnanti alla variabilità nell’applicazione delle norme tra territori.
Le criticità attuali
Le principali difficoltà riguardano diversi aspetti:
- risorse umane: la mancanza di insegnanti di sostegno specializzati porta spesso a un ricorso massiccio a supplenti non formati;
- continuità didattica: molti studenti cambiano insegnante di sostegno ogni anno, con ricadute sulla qualità dei percorsi personalizzati;
- disomogeneità territoriale: alcune regioni e province dispongono di servizi di supporto più strutturati, mentre altre faticano a garantire lo stesso livello di inclusione;
- burocrazia: il rischio che strumenti fondamentali come il PEI diventino meri adempimenti formali, perdendo la loro funzione progettuale.
Sfide emergenti
Accanto a queste criticità, emergono nuove sfide legate ai cambiamenti sociali e tecnologici:
- l’inclusione degli studenti con disturbi del neurosviluppo e con bisogni complessi, che richiedono metodologie didattiche sempre più specialistiche;
- l’accoglienza degli studenti stranieri e neoiscritti, spesso privi di competenze linguistiche di base;
- l’integrazione delle tecnologie digitali come strumenti compensativi e inclusivi, con attenzione però al rischio di esclusione per chi non ha accesso a dispositivi e connessioni.
Le prospettive future
Guardando avanti, le prospettive di sviluppo del modello italiano si muovono lungo alcune direttrici principali:
- Formazione continua dei docenti: investire nella preparazione non solo degli insegnanti di sostegno, ma di tutto il corpo docente, perché l’inclusione sia un compito condiviso.
- Rafforzamento delle reti territoriali: creare sinergie stabili tra scuole, servizi sanitari, enti locali e terzo settore per supportare le famiglie e gli studenti.
- Innovazione metodologica: ampliare l’uso di metodologie laboratoriali, cooperative e digitali, coerenti con i principi della didattica inclusiva.
- Valutazione autentica: spostare l’attenzione dalla mera misurazione del rendimento alla valorizzazione dei progressi individuali e delle competenze acquisite.
- Stabilità degli organici: garantire continuità nel rapporto tra studenti e docenti di sostegno, evitando cambiamenti annuali che ostacolano la costruzione di relazioni educative significative.
Conclusione: dall’integrazione all’inclusione
L’inclusione scolastica non è solo una questione normativa, ma una scelta culturale che implica la trasformazione della scuola in un luogo capace di accogliere ogni forma di diversità.
Dall’integrazione degli anni ’70 alla piena inclusione di oggi, il percorso è stato lungo e complesso, ma ha contribuito a rendere la scuola italiana un modello riconosciuto a livello globale.
Il futuro richiede di consolidare i risultati raggiunti, superare le criticità ancora presenti e continuare a considerare la diversità non come un ostacolo, ma come una risorsa per la crescita collettiva.
Box pratici riassuntivi
✅ Punti chiave
- Il sostegno scolastico è un diritto, non un obbligo: la famiglia può scegliere se esercitarlo, ma la mancata attivazione può comportare responsabilità.
- Il PEI (Piano Educativo Individualizzato) è lo strumento fondamentale per la personalizzazione dei percorsi degli alunni con disabilità; viene elaborato dai GLO con il coinvolgimento della scuola, della famiglia e dei servizi sanitari.
- La Legge 104/1992 ha sancito il principio dell’inclusione, superando le scuole speciali.
- Il DPR 81/2009 prevede un massimo di 20 studenti nelle classi prime con alunni con disabilità, salvo deroghe motivate.
- Le riforme Gelmini (2010) e la successiva riforma dei professionali (2017) hanno introdotto autonomia, flessibilità e centralità delle competenze.
- Nei professionali, fino al 60% del monte ore può essere modulato per personalizzare i percorsi.
- Gli istituti professionali adottano strumenti innovativi come il PFI (Progetto Formativo Individuale) e le UDA (Unità di Apprendimento).
- La sperimentazione del modello “4+2” accorcia il ciclo scolastico e lo collega agli ITS Academy, rafforzando la continuità scuola-lavoro.
- Nei PCTO (formazione scuola-lavoro), la sicurezza degli studenti è regolata dal DVR delle aziende ospitanti.
- L’inclusione si estende a tutti i BES, non solo agli studenti con disabilità.
⚠️ Errori comuni
- Considerare il sostegno come “obbligatorio” per lo studente con disabilità: è un diritto, non un vincolo.
- Pensare che il docente di sostegno sia “dell’alunno” e non della classe.
- Ridurre il PEI a un documento burocratico, senza sfruttarne il valore progettuale.
- Confondere autonomia e flessibilità: la prima riguarda il potenziamento di insegnamenti (20%), la seconda la personalizzazione delle aree di indirizzo (40%).
- Limitarsi a vedere i PCTO come “ore da completare”, senza curarne la qualità educativa e l’aderenza alle competenze dello studente.
- Ignorare che la personalizzazione dei percorsi è un diritto per tutti, non solo per chi ha una certificazione.
- Trascurare la continuità didattica, che è invece fondamentale per il successo formativo degli studenti con disabilità.
📝 Checklist operativa per scuole e docenti
All’inizio dell’anno
- Verificare la documentazione per l’attivazione del sostegno.
- Attivare i GLO e avviare la stesura del PEI.
- Nei professionali: predisporre il PFI entro il 31 gennaio.
Durante l’anno
- Monitorare l’attuazione del PEI con riunioni periodiche.
- Aggiornare il PFI e adattare le UDA alle necessità emerse.
- Coordinarsi con i tutor interni ed esterni per i PCTO.
In vista degli esami
- Verificare che i PCTO siano stati completati (requisito obbligatorio).
- Assicurarsi che la valutazione sia coerente con il PEI.
- Predisporre eventuali strumenti compensativi o misure dispensative.
💡 Suggerimenti pratici
- Promuovere una didattica inclusiva di classe, evitando di isolare l’alunno con sostegno.
- Integrare le tecnologie digitali come strumenti compensativi e inclusivi (es. sintesi vocale, mappe concettuali digitali).
- Valorizzare la collaborazione tra pari con attività di peer tutoring e cooperative learning.
- Creare partenariati territoriali per arricchire i PCTO e collegarli alle reali opportunità lavorative.
- Curare la formazione continua dei docenti: l’inclusione è un compito condiviso, non limitato al sostegno.
- Sfruttare la flessibilità normativa per innovare i curricula, evitando rigidità eccessive.
Fonti e letture consigliate
- Legge 104/1992 – “Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”.
- DPR 275/1999 – Regolamento sull’autonomia scolastica.
- D.Lgs. 66/2017, integrato dal D.Lgs. 96/2019 – Norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità.
- MIUR, Linee guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità (2009).
- MIUR, Linee guida per i PCTO (2019).
- UNESCO (2020) – Global Education Monitoring Report: Inclusion and education – All means all.
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