Cos’è la neuropsichiatria infantile e perché interessa la scuola
La neuropsichiatria infantile è l’ambito medico che si occupa della salute mentale e neurologica di bambini e adolescenti lungo tutto il percorso di crescita, quando strutture fisiche, funzioni cognitive e comportamenti cambiano e maturano. Integra contributi di pediatria, neurologia, psichiatria, riabilitazione, psicologia e pedagogia, unendo la prospettiva clinica a quella educativa. Nella scuola questo si traduce in un principio chiave: conoscere la natura dei disturbi presenti in classe aiuta a gestire meglio la quotidianità didattica e a promuovere benessere e sviluppo dell’alunno. La collaborazione sistematica tra figure scolastiche e professionisti sanitari rende l’intervento educativo più consapevole, integrato e flessibile, così da correggere il tiro quando qualcosa non funziona.
Ambito storico e cornice culturale (cenni essenziali)
L’attenzione verso i disturbi in età evolutiva ha radici che risalgono almeno a fine Settecento. Nel tempo, contributi come quelli di Maria Montessori e l’istituzione, nei primi decenni del Novecento, di centri dedicati a specifiche condizioni hanno favorito il passaggio da interpretazioni generiche di “follia” alla comprensione di quadri clinici distinti e trattabili. In Italia le scuole di specializzazione in neuropsichiatria dell’età evolutiva si affermano dagli anni Cinquanta, in linea con uno sviluppo internazionale che ha progressivamente allargato l’orizzonte di ricerca e intervento. Questi cenni storici aiutano a capire perché oggi l’approccio sia multidisciplinare e orientato all’inclusione scolastica.
Quando nasce il bisogno di invio ai servizi
Le famiglie possono rivolgersi ai servizi di neuropsichiatria per condizioni congenite (per esempio paralisi cerebrali infantili o sindrome di Down), per disabilità intellettive di vari gradi, per difficoltà scolastiche specifiche come i DSA, per disturbi del comportamento e dell’attenzione, nonché per problematiche psicologiche tipiche dell’adolescenza come ansia, disturbi alimentari e depressione. Sapere “che cosa osservare” a scuola e condividere in modo p
Le definizioni dell’OMS del 1980: menomazione, disabilità e handicap
Menomazione
Con il termine menomazione si intende una perdita o una anomalia a carico di una struttura o di una funzione, sia essa psicologica, fisiologica o anatomica. Può derivare da cause congenite (ad esempio una malformazione) oppure acquisite (come una lesione traumatica o una malattia). La menomazione è quindi il punto di partenza di un possibile percorso che può condizionare lo sviluppo del bambino.
Esempio pratico: la perdita di funzionalità in un arto o una compromissione della vista rientrano nella definizione di menomazione, in quanto indicano un danno oggettivo a una funzione o a una struttura corporea.
Disabilità
La disabilità si riferisce alla limitazione o alla perdita, conseguente a una menomazione, della capacità di compiere un’attività nei modi o nei tempi considerati normali per l’età. Non riguarda soltanto l’aspetto medico, ma anche quello funzionale e pratico della vita quotidiana.
Esempio pratico: un bambino con menomazione visiva può incontrare difficoltà a leggere alla lavagna senza supporti, oppure uno studente con deficit motorio può avere limitazioni nell’eseguire attività che richiedono movimenti rapidi o coordinati.
Handicap
Il termine handicap descrive la condizione di svantaggio sociale che una persona sperimenta quando la menomazione o la disabilità riduce la possibilità di ricoprire ruoli tipici per età, contesto e cultura. È quindi il risultato della relazione tra la condizione individuale e l’ambiente in cui la persona vive.
Esempio pratico: uno studente con difficoltà motorie che frequenta una scuola priva di rampe o ascensori si trova in una situazione di handicap, perché l’ambiente non è predisposto a ridurre il suo svantaggio.
Queste definizioni segnano un passaggio culturale importante: la menomazione descrive il danno biologico, la disabilità riguarda la limitazione funzionale, mentre l’handicap mette in luce le barriere sociali e ambientali. In questo senso la scuola ha un ruolo centrale, perché può trasformarsi da contesto che amplifica le difficoltà a luogo che rimuove gli ostacoli, favorendo la partecipazione attiva di tutti gli alunni.
Dal superamento delle vecchie definizioni alla classificazione ICF
Il limite delle definizioni del 1980
Le definizioni di menomazione, disabilità e handicap fornite dall’OMS nel 1980 hanno avuto il merito di chiarire concetti fino ad allora poco distinti, ma col tempo hanno mostrato i loro limiti. In particolare, la parola handicap ha assunto un’accezione negativa, quasi stigmatizzante, legata più al deficit che alla possibilità di crescita e partecipazione. Inoltre, il modello era centrato soprattutto sull’aspetto medico, trascurando il peso che l’ambiente e i fattori sociali hanno sulla vita di una persona.
Per rispondere a queste criticità, l’OMS ha introdotto un nuovo quadro di riferimento con la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF), che sposta l’attenzione dal deficit alla persona nella sua globalità. L’ICF propone un approccio bio-psico-sociale, che integra tre livelli:
- il funzionamento corporeo (aspetti biologici e medici)
- le attività e la partecipazione (capacità di agire e prendere parte alla vita sociale)
- i fattori contestuali (ambiente fisico, relazioni, atteggiamenti, politiche)
Dalla condizione individuale all’interazione con l’ambiente
La vera innovazione dell’ICF sta nel considerare la disabilità non più come un problema che appartiene esclusivamente all’individuo, ma come il risultato dell’interazione tra caratteristiche personali e barriere o facilitazioni presenti nell’ambiente. In altre parole, due persone con la stessa menomazione possono vivere condizioni di disabilità molto diverse a seconda del contesto: una scuola accessibile e inclusiva riduce le limitazioni, mentre un ambiente privo di adattamenti le amplifica.
Implicazioni per la scuola
Il modello ICF invita insegnanti e operatori a spostare lo sguardo: non si tratta solo di osservare ciò che un alunno “non sa fare”, ma di capire quali risorse possiede e quali strumenti, metodologie e ambienti possono valorizzarle. La scuola diventa così un luogo chiave per promuovere partecipazione e inclusione, con la consapevolezza che la qualità della vita non dipende soltanto dal funzionamento individuale, ma anche dalla qualità delle relazioni e delle opportunità offerte dal contesto educativo.
Il ruolo della diagnosi funzionale e del profilo di funzionamento
Dalla diagnosi medica alla diagnosi funzionale
La diagnosi medica descrive la patologia o la condizione clinica dell’alunno, ma da sola non basta per definire il percorso educativo. La scuola ha bisogno di una diagnosi funzionale, cioè di un documento che metta in evidenza non soltanto le difficoltà, ma anche le potenzialità e le abilità residue. Questo tipo di approccio aiuta a costruire interventi mirati e personalizzati, non limitandosi a constatare il deficit ma cercando strategie concrete per affrontarlo nella vita scolastica quotidiana.
Profilo di funzionamento: uno strumento dinamico
Con l’introduzione del modello ICF, la diagnosi funzionale si è evoluta nel profilo di funzionamento, un documento che fotografa in modo dinamico la situazione dell’alunno. Non si tratta di un’etichetta definitiva, ma di una descrizione che integra dati clinici, osservazioni scolastiche, informazioni familiari e contesto sociale. Questo profilo non è statico: può cambiare nel tempo, perché tiene conto dei progressi e delle trasformazioni che l’alunno vive durante il percorso educativo.
A cosa serve in ambito scolastico
Il profilo di funzionamento ha un ruolo centrale per:
- individuare i bisogni educativi specifici dell’alunno
- evidenziare le risorse personali e contestuali su cui fare leva
- orientare la progettazione del PEI (Piano Educativo Individualizzato)
- monitorare nel tempo gli obiettivi raggiunti e le strategie più efficaci
Un lavoro di squadra
La redazione del profilo di funzionamento non è responsabilità di un singolo, ma il risultato di un lavoro di rete che coinvolge neuropsichiatri infantili, psicologi, terapisti, insegnanti curricolari e di sostegno, insieme alla famiglia. Solo attraverso il confronto continuo è possibile costruire un quadro realistico e utile, che non riduca l’alunno a una diagnosi, ma lo descriva come persona nella sua complessità.

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Il Piano Educativo Individualizzato (PEI) come strumento di inclusione
Cos’è il PEI
Il Piano Educativo Individualizzato (PEI) è il documento che traduce in pratica i principi di inclusione scolastica. Non è un semplice atto burocratico, ma una vera e propria progettazione educativa e didattica, che definisce obiettivi, strategie, strumenti e modalità di valutazione personalizzate per l’alunno con disabilità o bisogni educativi complessi.
Struttura e contenuti principali
Il PEI deve contenere una serie di elementi fondamentali:
- la descrizione del profilo di funzionamento dell’alunno
- gli obiettivi a breve, medio e lungo termine, formulati in modo chiaro e realistico
- le strategie metodologiche e didattiche più adatte
- gli strumenti compensativi e le misure dispensative previste
- le modalità di verifica e valutazione dei progressi
- il coinvolgimento delle risorse interne ed esterne alla scuola (insegnanti curricolari, sostegno, famiglia, servizi sanitari)
Un documento dinamico
Il PEI non è un testo immutabile: deve essere aggiornato periodicamente per riflettere i progressi dell’alunno, i cambiamenti del contesto e l’efficacia delle strategie adottate. Questo significa che può essere corretto, arricchito o riorientato nel corso dell’anno scolastico, evitando rigidità che rischiano di ostacolare l’apprendimento.
Il valore dell’inclusione
Il PEI rappresenta lo strumento più concreto per trasformare i principi di equità e inclusione in azioni quotidiane. La sua efficacia dipende non solo dalla qualità della stesura, ma soprattutto dall’impegno con cui viene applicato: deve guidare la pratica didattica, diventare un riferimento condiviso e non restare chiuso in un cassetto.
Un lavoro collegiale
La redazione del PEI avviene attraverso il Gruppo di Lavoro Operativo (GLO), che riunisce insegnanti, famiglia, operatori sanitari ed eventualmente l’alunno stesso, se in grado di partecipare. Questo approccio collegiale garantisce che le decisioni non siano calate dall’alto, ma costruite in modo partecipato, valorizzando la conoscenza diretta che ciascun attore ha dell’alunno.
Le diverse tipologie di disturbi affrontati dalla neuropsichiatria infantile
Disturbi del neurosviluppo
Rientrano in questa categoria condizioni che si manifestano fin dai primi anni di vita e che riguardano lo sviluppo cognitivo, motorio, linguistico e comportamentale. Tra i più frequenti troviamo:
- Disturbi dello spettro autistico, caratterizzati da difficoltà nella comunicazione, nell’interazione sociale e dalla presenza di interessi ristretti o comportamenti ripetitivi.
- Disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD), che comporta difficoltà di concentrazione, impulsività e talvolta iperattività motoria.
- Disturbi specifici dell’apprendimento (DSA), come dislessia, disortografia, disgrafia e discalculia, che si manifestano con difficoltà persistenti in lettura, scrittura e calcolo.
- Disabilità intellettive, di gravità variabile, che influenzano il funzionamento cognitivo generale e l’adattamento nella vita quotidiana.
Disturbi neurologici
Alcune condizioni di natura neurologica possono incidere direttamente sul percorso scolastico e richiedere un intervento educativo mirato. Tra queste:
- Paralisi cerebrali infantili, che derivano da lesioni precoci al sistema nervoso e si accompagnano a deficit motori, sensoriali o cognitivi.
- Epilessie infantili, che comportano crisi ricorrenti e possono incidere sull’apprendimento e sulla concentrazione.
- Malattie neuromuscolari, caratterizzate da debolezza progressiva e ridotta autonomia motoria.
Disturbi psichiatrici in età evolutiva
In adolescenza diventano più frequenti problematiche legate alla sfera psicologica e psichiatrica, spesso intrecciate con le trasformazioni tipiche di questa fase di vita. Tra le più comuni troviamo:
- Disturbi d’ansia, che possono ostacolare la frequenza scolastica e la partecipazione sociale.
- Disturbi depressivi, che influiscono sul tono dell’umore, sulla motivazione e sulla relazione con i pari.
- Disturbi del comportamento alimentare, come anoressia e bulimia, che richiedono un approccio multidisciplinare con forte coinvolgimento della scuola.
Disturbi del linguaggio e della comunicazione
Molti bambini incontrano difficoltà nell’acquisizione e nell’uso del linguaggio, sia in termini di produzione sia di comprensione. I disturbi del linguaggio possono incidere pesantemente sull’apprendimento e sulle relazioni, rendendo necessario un supporto logopedico in stretta sinergia con la scuola.
Perché la scuola deve conoscere queste condizioni
Ogni disturbo ha caratteristiche proprie, ma ciò che accomuna tutti i casi è il bisogno di un ambiente educativo attento e preparato. Sapere riconoscere i segnali di difficoltà, distinguere tra normali tappe di sviluppo e possibili disturbi, e comunicare tempestivamente con i servizi sanitari permette di avviare percorsi di presa in carico più rapidi ed efficaci.
Strategie educative e didattiche per l’inclusione scolastica
Personalizzazione e individualizzazione
Uno dei principi cardine dell’inclusione è la capacità di adattare la didattica alle caratteristiche di ciascun alunno. La personalizzazione si concentra sugli stili cognitivi, sugli interessi e sulle potenzialità individuali, mentre l’individualizzazione punta a garantire a tutti gli studenti il raggiungimento delle competenze di base, pur attraverso percorsi diversi. Questo significa che un obiettivo comune può essere perseguito con strategie differenti, calibrate sulle necessità di ciascuno.
Strumenti compensativi e misure dispensative
Quando un alunno presenta difficoltà specifiche, la scuola può introdurre strumenti che facilitano l’apprendimento (compensativi) o riducono il carico di alcune prestazioni (dispensativi). Alcuni esempi:
- mappe concettuali e schemi per la memorizzazione;
- software di sintesi vocale o di videoscrittura;
- calcolatrici e tabelle per il supporto al calcolo;
- tempi aggiuntivi nelle verifiche;
- riduzione di compiti e attività ridondanti.
L’obiettivo non è “semplificare” i contenuti, ma permettere all’alunno di accedervi con modalità più adatte alle sue capacità.
Metodologie inclusive
Un insegnamento realmente inclusivo si fonda sull’uso di metodologie attive e cooperative, come:
- apprendimento cooperativo, che valorizza il lavoro di gruppo e la collaborazione tra pari;
- didattica laboratoriale, che favorisce il “fare per imparare” e stimola la partecipazione;
- tutoring tra pari, in cui gli studenti più competenti sostengono i compagni nelle attività;
- insegnamento multisensoriale, che integra canali visivi, uditivi e motori per potenziare la comprensione.
Il ruolo delle tecnologie
Le tecnologie digitali rappresentano un potente strumento per l’inclusione, soprattutto quando utilizzate come supporto all’autonomia. Tablet, lavagne interattive, applicazioni educative e piattaforme di e-learning permettono di personalizzare le esperienze di apprendimento e di abbattere molte barriere comunicative e organizzative.
Clima di classe e atteggiamento inclusivo
Le strategie didattiche funzionano solo se inserite in un contesto relazionale positivo. Creare un clima di classe accogliente, basato sul rispetto e sulla valorizzazione delle differenze, è il presupposto per qualsiasi intervento educativo. L’atteggiamento dell’insegnante ha un impatto determinante: incoraggiare, sostenere e riconoscere i progressi di ciascuno rafforza la motivazione e riduce i vissuti di esclusione.
La collaborazione tra scuola, famiglia e servizi sanitari
Un’alleanza indispensabile
L’inclusione scolastica non può essere il risultato dell’impegno di una sola parte. Per funzionare richiede la collaborazione costante tra scuola, famiglia e servizi sanitari. Ognuno porta una prospettiva diversa: la scuola osserva il comportamento quotidiano dell’alunno in un contesto sociale, la famiglia conosce meglio la storia personale e le abitudini, i servizi sanitari offrono la competenza clinica e terapeutica.
Condivisione delle informazioni
Un passaggio fondamentale è la condivisione delle informazioni in modo chiaro e tempestivo. Insegnanti e genitori devono comunicare ai professionisti sanitari ciò che osservano nella vita scolastica e domestica, così da facilitare valutazioni più accurate. Allo stesso modo, i servizi hanno il compito di fornire alla scuola indicazioni operative che possano tradursi in strategie didattiche concrete.
Il ruolo della famiglia
La famiglia è spesso il primo soggetto a rilevare segnali di difficoltà e a rivolgersi ai servizi. Una volta avviato il percorso, i genitori diventano partner attivi nella costruzione del PEI e nel monitoraggio degli obiettivi. Il loro coinvolgimento è prezioso anche per dare continuità tra ambiente scolastico e vita quotidiana, evitando che l’alunno percepisca contraddizioni o dissonanze.
Il ruolo della scuola
Gli insegnanti, curricolari e di sostegno, hanno la responsabilità di applicare nella pratica educativa le indicazioni che emergono dai documenti clinici e dai colloqui con la famiglia. Devono inoltre mantenere un dialogo costante con i genitori e aggiornare i servizi sui progressi o sulle nuove difficoltà riscontrate.
Il ruolo dei servizi sanitari
Neuropsichiatri, psicologi, logopedisti, terapisti occupazionali e altre figure specialistiche garantiscono la parte clinica e riabilitativa del percorso. Ma non si limitano a fornire diagnosi: collaborano con la scuola per tradurre i dati medici in strategie educative, contribuendo così a una visione globale del bambino.
Il valore della rete
Quando scuola, famiglia e servizi lavorano come una rete integrata, l’alunno non viene percepito come “problema da risolvere”, ma come persona da sostenere. Questa sinergia riduce i tempi di intervento, aumenta la coerenza delle strategie adottate e rafforza il senso di fiducia reciproca, creando le condizioni migliori per la crescita e il benessere.
Conclusioni e prospettive per l’inclusione scolastica
Il valore dell’approccio integrato
La neuropsichiatria infantile, con la sua prospettiva clinica e riabilitativa, e la scuola, con la sua funzione educativa e sociale, rappresentano due mondi che devono dialogare costantemente. L’inclusione non si riduce all’inserimento fisico dell’alunno in classe, ma implica la costruzione di percorsi personalizzati che tengano conto dei bisogni, delle potenzialità e del contesto di ciascuno.
Superare le etichette
Le vecchie definizioni basate su “handicap” e “deficit” hanno lasciato spazio a un linguaggio più rispettoso, che valorizza il concetto di funzionamento globale e di partecipazione. Oggi l’attenzione si sposta dalla mancanza alla possibilità: non più ciò che il bambino non sa fare, ma ciò che può apprendere con il giusto supporto e in un ambiente favorevole.
La centralità della scuola
La scuola non è solo il luogo dell’istruzione, ma un vero laboratorio di inclusione sociale. Qui si sperimentano quotidianamente strategie per abbattere le barriere, promuovere relazioni positive e insegnare il valore della diversità. Ogni intervento mirato a favorire la partecipazione di un alunno con bisogni speciali si traduce in un arricchimento per tutta la classe, che impara a collaborare e a crescere in un’ottica di solidarietà.
Sfide future
Restano aperte diverse sfide: garantire una formazione continua e adeguata agli insegnanti, assicurare risorse sufficienti per il sostegno, ridurre i tempi di attesa nei servizi di neuropsichiatria, rafforzare la collaborazione con le famiglie. L’obiettivo è costruire un sistema realmente inclusivo, in cui nessun alunno si senta escluso o penalizzato.
Verso una cultura dell’inclusione
L’inclusione non è soltanto una metodologia didattica, ma una cultura che riguarda tutta la comunità scolastica e sociale. Significa educare al rispetto, alla collaborazione e alla valorizzazione delle differenze come risorsa. È su questo terreno che si gioca il futuro della scuola e, più in generale, della società: una società capace di accogliere e sostenere tutti i suoi membri, a partire dai più fragili.
Disclaimer: I contenuti hanno carattere divulgativo e non sostituiscono materiale didattico ufficiale. Sono pensati come risorsa di supporto per lo studio e la preparazione a percorsi formativi e concorsuali.
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