Origine e mantenimento dei comportamenti-problema
I comportamenti-problema non nascono dal nulla: hanno sempre un’origine precisa e si mantengono nel tempo grazie a fattori relazionali, comunicativi ed emozionali. Ogni azione che una persona compie ha un valore funzionale, ossia serve a ottenere un risultato specifico, anche quando questo si traduce in una condotta disfunzionale o negativa. Comprendere quali siano le condizioni che precedono l’insorgenza di un comportamento problematico è il primo passo per prevenirlo o trasformarlo.
Le condizioni antecedenti
Gli antecedenti rappresentano gli stimoli o le situazioni che precedono il comportamento e che ne favoriscono l’emissione. Possiamo identificarne tre principali categorie:
1. Condizioni fisiche e biologiche
Le caratteristiche biologiche e sensoriali di una persona possono costituire potenti fattori scatenanti.
Ipersensibilità sensoriale: alcuni alunni, ad esempio con disturbi dello spettro autistico, possono sviluppare un’intolleranza marcata a rumori, vibrazioni o stimoli visivi. Un ambiente rumoroso o caotico può generare in loro ansia e portare a comportamenti di fuga o crisi.
Bisogni sensoriali specifici: studenti con disabilità visiva possono trarre piacere dal manipolare oggetti rumorosi (plastica, carta) per ottenere un feedback percettivo. Vietare bruscamente questa attività, se non dannosa, rischia di innescare comportamenti oppositivi.
Altri bisogni sensoriali: alcuni studenti manifestano stereotipie come dondolare, sfarfallare le mani, leccare o toccare superfici, mettere oggetti in bocca o mordere tessuti. Questi comportamenti, se non pericolosi, rappresentano un canale di autoregolazione e vanno compresi piuttosto che repressi.
2. Condizioni emotive
La fragilità emotiva gioca un ruolo cruciale. Molti studenti con bisogni educativi speciali presentano una forte reattività agli stimoli unita a difficoltà nel riconoscere e regolare le emozioni. L’assenza di competenze comunicative e di strategie di gestione emotiva può portare a crisi di ansia, agitazione o condotte aggressive e distruttive.
3. Condizioni relazionali
Le relazioni interpersonali influenzano fortemente il comportamento. Un minimo segnale percepito come ostile da parte dei compagni o degli adulti di riferimento può scatenare reazioni sproporzionate. Anche la mancanza di attenzioni o, al contrario, l’eccesso di rinforzi inadeguati può alimentare comportamenti disfunzionali. Studi osservazionali dimostrano che in contesti neutri, privi di interazioni sociali, molti comportamenti problematici tendono a non manifestarsi.
Conseguenze dei comportamenti-problema e analisi funzionale
Il ruolo delle conseguenze
Ogni comportamento produce un effetto. Le conseguenze non solo seguono l’azione, ma ne condizionano anche il ripetersi. Se una condotta disfunzionale porta a un vantaggio immediato (attenzione, premio, evitamento di un compito), aumentano le probabilità che lo studente la riproponga. Al contrario, conseguenze inadeguate o punitive, se mal gestite, rischiano di rafforzare ulteriormente il comportamento che si intende ridurre.
Esempio: se, dopo una crisi comportamentale, l’adulto offre un rinforzo positivo (come una caramella o un oggetto gradito), lo studente apprende che quel comportamento è funzionale ad ottenere ciò che desidera, rendendo più probabile la sua reiterazione.
L’importanza dell’osservazione sistematica
Per comprendere un comportamento-problema non è sufficiente un’osservazione casuale: serve un approccio strutturato. L’osservazione deve essere sistematica, cioè basata su strumenti e criteri oggettivi, con lo scopo di individuare:
- le condizioni antecedenti (dove, quando e in quali circostanze il comportamento si manifesta),
- le modalità di manifestazione (come si esprime il comportamento),
- le conseguenze (quali effetti produce e con quali ricadute sul contesto).
Le griglie di osservazione, disponibili in letteratura o create ad hoc, permettono di raccogliere dati qualitativi (descrizione del contesto, modalità di manifestazione) e quantitativi (numero di episodi, frequenza, durata, intensità). Questo tipo di analisi, nota come analisi funzionale, consente di capire non solo “cosa accade”, ma anche “perché accade”.
Criteri di valutazione delle conseguenze
Per analizzare l’impatto di un comportamento-problema si possono utilizzare alcuni criteri chiave:
- Criterio del danno: quali danni provoca allo studente stesso, ai compagni o all’ambiente?
- Criterio dell’ostacolo: in che misura il comportamento interferisce con la didattica, la socializzazione, l’autonomia o la concentrazione?
- Criterio dell’impatto emotivo: quale effetto produce sullo stato d’animo dello studente, del gruppo classe e degli insegnanti? Rabbia, frustrazione o senso di impotenza possono compromettere la qualità della relazione educativa.
Registrare anche gli aspetti emotivi legati al comportamento aiuta l’adulto a mantenere un approccio neutrale e professionale, evitando di farsi travolgere dalla reazione immediata.
La pianificazione dell’intervento psicoeducativo
Un approccio positivo e sostitutivo
L’obiettivo principale dell’intervento psicoeducativo non è reprimere il comportamento-problema, ma sostituirlo con condotte socialmente accettabili. Si tratta quindi di offrire allo studente strumenti alternativi che gli consentano di raggiungere i propri bisogni e il proprio benessere psicofisico senza ricorrere a strategie disfunzionali.
L’intervento deve essere positivo (basato sulla valorizzazione delle risorse dello studente e non solo sulla riduzione dei limiti) e proattivo (anticipare le difficoltà piuttosto che reagire solo alle crisi). In questo modo il comportamento problematico non viene semplicemente eliminato, ma trasformato.
Definire il campo di intervento
Non è realistico intervenire su tutti i comportamenti contemporaneamente. Occorre selezionare le condotte che:
- sono più pericolose o dannose,
- ostacolano maggiormente la sicurezza,
- compromettono in modo significativo l’apprendimento e la socializzazione.
La messa in sicurezza dell’alunno, dei compagni e dell’ambiente scolastico rappresenta la priorità. Una volta affrontati i comportamenti più gravi, sarà possibile intervenire progressivamente su quelli secondari.
Il concetto di alleanza educativa
Ogni intervento efficace si fonda sulla costruzione di un’alleanza educativa. Prima ancora di coinvolgere famiglie, colleghi o servizi, l’alleanza va instaurata con lo studente stesso.
Questa relazione non deve basarsi su una contrapposizione “amico-nemico”, ma su una prossimità pedagogica: avvicinarsi allo studente significa comprenderne i bisogni, anche quando sono espressi in modo inadeguato, e aiutarlo a tradurli in comportamenti più funzionali.
L’alleanza educativa permette di:
- accorciare le distanze tra adulto e studente,
- favorire l’autorealizzazione dell’alunno,
- osservare con maggiore chiarezza le radici dei comportamenti-problema,
- costruire una rete collaborativa con famiglia, docenti e altri operatori.
Funzionalità dei comportamenti
Ogni comportamento, anche quello più problematico, ha una funzione per chi lo manifesta. Può trattarsi di una richiesta d’aiuto, di un bisogno di autoregolazione o di una strategia (inconsapevole) per ottenere un vantaggio. Guardare “oltre il comportamento” significa dunque non fermarsi alla superficie, ma chiedersi quale bisogno reale lo sostiene.
Le sfide dell’approccio psicoeducativo
Un percorso in salita
L’approccio psicoeducativo non è una strada facile: richiede impegno, resilienza e la capacità di mettersi continuamente in discussione. L’insegnamento inclusivo non può limitarsi a ridurre gli obiettivi didattici per gli studenti con difficoltà, perché questo significherebbe ridurre anche le loro possibilità di crescita, aumentare la frustrazione e la demotivazione.
La scuola “fatta bene” deve essere in grado di offrire percorsi di autorealizzazione, sostenuti da interventi educativi personalizzati e profondi.
Il ruolo del docente di sostegno
Il docente di sostegno non è solo un facilitatore didattico, ma un punto di riferimento educativo complesso. Deve saper:
- mantenere la rotta anche quando le crisi sembrano insormontabili,
- distinguere i bisogni autentici dello studente dalle proprie fragilità personali,
- affrontare le sfide con resilienza e consapevolezza che ogni tentativo può implicare errori e correzioni.
Un comportamento problematico non deve mai diventare un’etichetta permanente: al contrario, l’adulto ha il compito di aiutare lo studente a liberarsene, evitando che diventi una “lettera scarlatta” che lo accompagna per anni.
Problemi veri e problemi falsi
Una riflessione importante riguarda la distinzione tra due ordini di problemi:
- Problemi veri: appartengono allo studente, derivano dalle sue difficoltà oggettive e devono essere affrontati con strategie educative mirate.
- Problemi falsi: sono proiezioni o limiti del docente, come pregiudizi, stereotipi, difficoltà relazionali o incapacità di mantenere neutralità e oggettività.
Riconoscere e separare questi due livelli è essenziale per non caricare lo studente di responsabilità che non gli appartengono e per evitare che la relazione educativa venga inquinata da dinamiche personali dell’adulto.
Un nuovo paradigma educativo
L’approccio psicoeducativo implica un cambiamento di prospettiva: l’adulto non è più il “dominus” che detiene il potere assoluto, mentre lo studente rappresenta il “minus”. Al contrario, la relazione si fonda su interdipendenza e interconnessione.
Questo significa che l’insegnante influenza lo studente, ma a sua volta è influenzato dalla relazione educativa. Ciò richiede flessibilità, consapevolezza e la capacità di non lasciarsi abbattere dalle difficoltà quotidiane, mantenendo sempre la meta educativa come riferimento.
Manifestazioni tipiche dei comportamenti-problema
Varietà e complessità dei comportamenti
Nelle classi odierne i comportamenti-problema non riguardano soltanto gli studenti con certificazioni o bisogni educativi speciali. Sempre più frequentemente anche alunni senza diagnosi formale manifestano condotte disfunzionali, segno di una complessità crescente del contesto scolastico. Le principali tipologie osservabili comprendono:
- urla come unico codice comunicativo, che interrompono la lezione e disturbano l’ambiente;
- autolesionismo, come morsi, graffi o tagli;
- autostimolazioni stereotipate, ad esempio lo sfarfallio delle mani o il mordicchiarsi ripetuto;
- rifiuto delle regole, con comportamenti oppositivi e sfida verbale continua;
- condotte distruttive, come rompere oggetti, danneggiare l’ambiente scolastico, scardinare banchi o sedie;
- fuga ed evitamento, che si manifestano con richieste improvvise di allontanarsi dall’aula o di interrompere un compito;
- condotte di attacco, che possono includere morsi, strattoni o aggressioni fisiche;
- proteste e opposizioni verbali persistenti.
Questi comportamenti, seppur diversi tra loro, hanno un comune denominatore: interrompono il setting didattico e logorano l’apprendimento, non solo dello studente che li manifesta, ma anche dei compagni.
Le conseguenze negative sul contesto
Le condotte problematiche sono pericolose per più motivi:
- mettono a rischio la sicurezza dello studente e degli altri,
- danneggiano ambienti e materiali scolastici,
- compromettono le relazioni educative,
- ostacolano la concentrazione e il processo di apprendimento individuale e collettivo.
La funzionalità dei comportamenti
Anche un comportamento apparentemente irrazionale o distruttivo ha una funzione per lo studente. Può servire a:
- scaricare tensioni emotive,
- ottenere un oggetto o un’attenzione precedentemente negata,
- evitare un compito o una situazione percepita come avversiva,
- comunicare un bisogno o un disagio in mancanza di altre strategie espressive.
Questo principio ribadisce che ogni comportamento-problema va interpretato come strumento funzionale: il ragazzo lo utilizza per raggiungere un effetto concreto, anche quando tale condotta appare inadeguata o dannosa.
Il ciclo di vita del comportamento-problema
La sequenza antecedente–comportamento–conseguenza
Ogni comportamento-problema segue uno schema ricorrente, che può essere descritto come una catena in tre passaggi:
- Antecedente: una condizione iniziale, uno stimolo o una situazione che funge da “miccia”.
- Comportamento: la condotta problematica vera e propria, messa in atto dallo studente.
- Conseguenza: la reazione dell’ambiente (insegnanti, compagni, contesto) che determina se il comportamento verrà rafforzato o indebolito.
In base al tipo di conseguenza, il comportamento può estinguersi oppure ripetersi, alimentando un nuovo ciclo.
Il ruolo delle interazioni
L’origine e il mantenimento dei comportamenti-problema risiedono nelle interazioni, nelle comunicazioni e nelle relazioni. Nulla avviene per caso: come in natura ogni effetto ha una causa, così ogni comportamento è scatenato da un insieme di condizioni precise.
Un rinforzo inadeguato, anche involontario, può trasformarsi in carburante per la reiterazione della condotta disfunzionale. Viceversa, una risposta educativa ben calibrata può interrompere il ciclo e spegnere il comportamento.
Un ciclo potenzialmente infinito
Se non interrotto, il ciclo comportamento–conseguenza rischia di perpetuarsi all’infinito, creando un meccanismo snervante e logorante per studenti, insegnanti e contesto scolastico. Per questo è fondamentale che il docente impari a:
- riconoscere gli antecedenti che innescano i comportamenti,
- osservare le conseguenze che ne derivano,
- intervenire per disinnescare la miccia e sostituire la condotta negativa con strategie educative più evolute e socialmente accettabili.
Strategie educative: disinnescare e sostituire i comportamenti-problema
Il disinnesco come prima azione
Un comportamento problematico non va affrontato con risposte impulsive o punitive, ma con strategie mirate al disinnesco. Ciò significa interrompere il ciclo antecedente–comportamento–conseguenza prima che il comportamento si rinforzi, riducendo le condizioni che lo alimentano.
Ad esempio: un ragazzo che urla per evitare un compito scolastico può essere sostenuto con strategie di gradualità e mediazione, invece che con il semplice rimprovero, che rafforzerebbe la dinamica oppositiva.
La sostituzione con comportamenti più evoluti
Il passo successivo consiste nel proporre e insegnare comportamenti alternativi, capaci di soddisfare i bisogni dello studente senza ricorrere a modalità distruttive o disfunzionali.
Questo approccio, definito psicoeducativo, permette di:
- offrire strumenti comunicativi alternativi,
- insegnare modalità di autoregolazione emotiva,
- favorire condotte socialmente accettabili e proattive.
Promuovere la competenza comunicativa
Molti comportamenti-problema nascono da una carenza di competenze comunicative. Potenziare il linguaggio verbale e non verbale, o ricorrere a sistemi di comunicazione aumentativa e alternativa (CAA), consente agli studenti di esprimere bisogni e desideri senza dover ricorrere a condotte oppositive o aggressive.
La resilienza educativa del docente
Per il docente di sostegno, l’approccio psicoeducativo richiede forza, costanza e resilienza. Non esistono soluzioni immediate né ricette universali: il lavoro si fonda su un processo di tentativi ed errori, che va affrontato con umiltà e con la consapevolezza che ogni passo in avanti rappresenta una conquista per lo studente e per l’intero gruppo classe.
L’alleanza educativa e la prospettiva di lungo periodo
Costruire una rete di prossimità
L’alleanza educativa è il cuore dell’intervento psicoeducativo. Non è solo un accordo tra adulti (docenti, famiglia, operatori), ma un rapporto di vicinanza con lo studente. Significa entrare nella sua prospettiva, comprenderne i bisogni e ridurre la distanza che separa il suo mondo interiore da quello scolastico.
Come sottolineato dalle neuroscienze e dalla pedagogia, ogni comportamento è funzionale: persino un atto di opposizione o aggressività può celare un bisogno inespresso o una richiesta d’aiuto.
Oltre la superficie del comportamento
Un comportamento problematico non va interpretato come un mero atto di disturbo, ma come un linguaggio alternativo. Guardare “oltre il sintomo” permette di coglierne la funzione: scaricare tensione, evitare un compito, richiedere attenzione o affermare la propria identità. Solo così l’adulto può trasformare il comportamento in occasione educativa.
Un esempio efficace è quello dell’iceberg: ciò che appare in superficie è solo una minima parte della complessità interna dello studente. Le sofferenze, le frustrazioni e le difficoltà restano spesso sommerse, ma alimentano la punta visibile del comportamento-problema.
Autorealizzazione e qualità della vita
Dietro ogni difficoltà c’è il desiderio di autorealizzazione. Anche gli studenti con disabilità gravi aspirano a fare ed essere come gli altri, pur con modalità diverse. Ridurre obiettivi senza offrire alternative reali rischia di generare esclusione e demotivazione. Al contrario, puntare sullo sviluppo di competenze – non solo conoscenze – permette di restituire dignità e qualità di vita.
La scuola inclusiva deve quindi farsi luogo di crescita personale, in cui ogni alunno possa sperimentare la bellezza del sapere e della relazione, senza stigma né riduzioni che alimentano senso di impotenza.
Un impegno continuo
L’approccio psicoeducativo richiede dedizione costante: non esistono pause nette né soluzioni immediate. È un percorso fatto di piccoli passi, tentativi, errori e nuove strategie. La resilienza del docente e la capacità di mantenere la bussola educativa sono essenziali per accompagnare lo studente nel lungo periodo, senza scoraggiarsi di fronte alle inevitabili difficoltà.
Principali comportamenti-problema e loro interpretazione
Tipologie ricorrenti
Le aule scolastiche presentano una vasta gamma di comportamenti problematici, che possono assumere forme differenti a seconda dello studente e del contesto. Tra i più comuni si riscontrano:
- Urla: utilizzate come unico codice comunicativo, interrompono la lezione, disturbano i compagni e amplificano il disagio dello studente stesso.
- Comportamenti autolesionistici: morsi, graffi, colpi contro superfici dure, fino a veri e propri tagli.
- Autostimolazioni stereotipate: sfarfallare le mani, mordicchiarsi le dita o altri gesti ripetuti che forniscono una forma di autoregolazione.
- Rifiuto delle regole: opposizione costante all’autorità, sfida verbale, protesta continua.
- Condotte distruttive: rompere oggetti, danneggiare arredi o persino parti della struttura scolastica.
- Fuga ed evitamento: allontanamenti improvvisi dall’aula o richieste insistenti di interrompere un compito.
- Condotte di attacco: morsi, strattoni, spinte o altre forme di aggressività fisica.
- Proteste verbali e sfida continua: contestazioni reiterate che generano conflitto e logorano la relazione educativa.
Impatto sul contesto scolastico
Questi comportamenti hanno conseguenze rilevanti:
- mettono a rischio la sicurezza personale e collettiva,
- generano distruzione e caos nell’ambiente di apprendimento,
- logorano le relazioni educative e i rapporti tra pari,
- riducono la concentrazione e rallentano l’apprendimento dell’intero gruppo classe.
Il loro impatto va quindi ben oltre il singolo studente, contaminando la qualità della vita scolastica complessiva.
La funzionalità dei comportamenti negativi
Anche le condotte più distruttive hanno una funzione per chi le mette in atto. Possono servire a:
- ottenere o recuperare un oggetto desiderato,
- attirare l’attenzione degli adulti o dei pari,
- evitare compiti o situazioni percepite come insostenibili,
- scaricare tensioni emotive interne,
- affermare la propria presenza o identità nel gruppo.
In altre parole, il comportamento problematico rappresenta sempre un mezzo per raggiungere uno scopo. Riconoscere questa funzione è la chiave per trasformarlo in un’occasione di apprendimento e per proporre alternative più efficaci e socialmente accettabili.

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Strategie di gestione e pianificazione degli interventi
Dall’analisi alla definizione degli obiettivi
Il primo passo per gestire un comportamento-problema è comprendere la sua funzione. Ogni studente utilizza la stessa condotta per ragioni differenti: ciò che per uno rappresenta un bisogno di attenzione, per un altro può essere un modo per evitare un compito o scaricare tensioni.
Per questo motivo, l’analisi deve essere individualizzata e non può basarsi su modelli standardizzati. Una volta chiarita la funzione del comportamento, è possibile definire obiettivi realistici e mirati.
Circorscrivere il campo di intervento
Non si può intervenire su tutti i comportamenti contemporaneamente. Occorre selezionare quelli:
- più pericolosi per l’incolumità personale e collettiva,
- più dannosi per l’apprendimento e la socializzazione,
- più logoranti per il contesto scolastico.
Questa scelta risponde sia a un obbligo deontologico, sia a un principio di sicurezza: il docente ha la responsabilità di proteggere lo studente, i compagni e l’ambiente scolastico.
Intervento psicoeducativo sostitutivo
L’approccio proattivo e sostitutivo mira a offrire allo studente comportamenti alternativi che possano svolgere la stessa funzione del comportamento-problema, ma in forma socialmente accettabile.
L’intervento deve quindi:
- proporre strategie comunicative e relazionali alternative,
- insegnare modalità di autoregolazione emotiva,
- promuovere abilità sociali e comportamenti prosociali,
- creare un clima sereno e inclusivo in classe.
La priorità della sicurezza
Prima di ogni altra azione, l’insegnante deve garantire la messa in sicurezza: dello studente, dei compagni e delle attrezzature scolastiche. Solo in un ambiente sicuro è possibile avviare percorsi educativi efficaci e sostenibili.
L’uso dei rinforzi nell’intervento psicoeducativo
Il rinforzo come strumento educativo
Il rinforzo è una delle leve principali per orientare i comportamenti. Se applicato in modo consapevole, permette di consolidare condotte positive e ridurre quelle disfunzionali. Tuttavia, un rinforzo usato in maniera impropria può avere l’effetto opposto, alimentando il comportamento-problema invece di estinguerlo.
Tipologie di rinforzi
I rinforzi non sono tutti uguali e si possono distinguere in diverse categorie:
- Rinforzi tangibili: oggetti concreti o premi materiali (es. un gioco, una figurina, un dolce).
- Rinforzi sociali: riconoscimenti verbali, sorrisi, gesti di approvazione.
- Rinforzi simbolici: sistemi come la token economy, in cui lo studente accumula gettoni o punti da convertire in un premio.
- Rinforzi negativi: la rimozione di uno stimolo sgradevole quando lo studente adotta un comportamento corretto (es. interrompere un compito troppo gravoso dopo un impegno dimostrato).
Il rischio dei rinforzi inadeguati
Un rinforzo mal applicato rischia di innescare nuovamente il comportamento-problema. Ad esempio, se un alunno ottiene un premio subito dopo una crisi, imparerà che quella condotta è un mezzo efficace per raggiungere il proprio scopo.
Per questo motivo, il rinforzo va pianificato con attenzione, calibrando:
- il momento dell’applicazione,
- la coerenza con gli obiettivi educativi,
- la progressiva riduzione della dipendenza dal premio esterno, in favore di motivazioni intrinseche.
Creare un clima sereno
Un utilizzo consapevole dei rinforzi contribuisce non solo alla riduzione dei comportamenti-problema, ma anche alla costruzione di un clima di classe sereno e collaborativo. Al contrario, rinforzi errati o rimproveri mal gestiti possono avvelenare le dinamiche educative e compromettere il benessere collettivo.
Strategie complementari di gestione educativa
Il rimprovero positivo
Non tutti i rimproveri hanno la stessa efficacia. Un rimprovero improvvisato, dettato dall’emozione, può risultare dannoso e rinforzare la condotta negativa. Al contrario, il rimprovero positivo è pianificato, breve, chiaro e immediatamente collegato al comportamento da correggere. Deve comunicare in modo assertivo il limite senza ledere la dignità dello studente, trasformandosi così in un’occasione educativa.
Il time out
Il time out consiste nell’allontanamento temporaneo dello studente dal contesto che rinforza il comportamento-problema. Non va inteso come punizione, ma come pausa educativa, utile a interrompere la catena antecedente–comportamento–conseguenza. La sua efficacia dipende dalla brevità, dalla chiarezza delle regole e dal successivo reinserimento in classe con obiettivi chiari.
La token economy
La token economy è un sistema basato sull’assegnazione di gettoni o punti per ogni comportamento positivo, che possono essere successivamente convertiti in premi simbolici o tangibili. Questo metodo aiuta a rendere visibile e misurabile il progresso dello studente, motivandolo a sostituire condotte disfunzionali con strategie più adeguate. È particolarmente utile nei programmi di medio-lungo periodo.
La gestione del setting educativo
Anche l’organizzazione dell’ambiente scolastico ha un ruolo centrale nella prevenzione dei comportamenti-problema. Elementi come la disposizione degli spazi, la riduzione degli stimoli disturbanti, la chiarezza delle regole e la prevedibilità delle routine possono diminuire sensibilmente l’insorgenza di crisi. Un setting strutturato rappresenta una forma di prevenzione implicita, capace di ridurre al minimo le occasioni di conflitto.
Limiti dell’approccio psicoeducativo e responsabilità dell’adulto
Quando il percorso educativo non basta
L’approccio psicoeducativo – proattivo, sostitutivo e basato sull’alleanza – rappresenta sempre la prima strada da percorrere. Tuttavia, ci sono situazioni in cui, nonostante un periodo di applicazione costante e ben pianificato, i comportamenti gravi persistono o diventano ingestibili. In questi casi l’adulto deve avere il coraggio di riconoscere i limiti dell’intervento e valutare strategie più incisive.
Strategie di tipo positivo-punitivo
La letteratura scientifica evidenzia che, qualora i comportamenti-problema non vengano contenuti dalle strategie educative, si può ricorrere – come estrema ratio – a modalità di tipo positivo-punitivo. Non si tratta di punizioni arbitrarie o repressive, ma di interventi mirati, regolati e coerenti, che comunicano con chiarezza i limiti senza ledere la dignità dello studente. La loro funzione non è punitiva in sé, ma educativa, volta a ristabilire un ordine funzionale al benessere di tutti.
Un procedere per prove ed errori
Il lavoro educativo non conosce soluzioni perfette né ricette universali: procede sempre per tentativi, errori e correzioni. Anche l’adulto, nel suo ruolo, deve accettare questa dinamica, rimanendo umile e resiliente. Ogni errore diventa occasione di apprendimento e aggiustamento delle strategie.
La responsabilità dell’insegnante
Il docente, in particolare il docente di sostegno, porta una responsabilità duplice:
- garantire la sicurezza dello studente, dei compagni e dell’ambiente scolastico;
- promuovere un percorso di crescita che non si limiti alla riduzione degli obiettivi didattici, ma favorisca lo sviluppo delle competenze personali, sociali ed emotive.
Il comportamento-problema, per quanto difficile, non deve diventare un marchio o uno stigma. L’insegnante ha il compito di trasformarlo in un’occasione educativa, mantenendo sempre viva la fiducia nelle possibilità di cambiamento dello studente.
Conclusioni: il senso dell’intervento psicoeducativo nella scuola inclusiva
Il comportamento-problema non è mai un atto casuale: rappresenta sempre una forma di comunicazione, un mezzo attraverso cui lo studente cerca di ottenere attenzione, esprimere un bisogno o mantenere un equilibrio interno. Guardare oltre la superficie delle condotte disfunzionali significa riconoscere che ogni gesto ha una funzione, anche quando appare distruttivo o antisociale.
La scuola inclusiva ha il compito di trasformare questi segnali in opportunità educative, aiutando gli alunni a sostituire le strategie disfunzionali con comportamenti più evoluti, socialmente accettabili e capaci di favorire il benessere personale e collettivo. Questo percorso non è mai lineare né semplice: richiede osservazione sistematica, capacità di analisi, uso consapevole dei rinforzi, gestione attenta del setting e, soprattutto, costruzione di alleanze educative autentiche.
Il docente di sostegno, insieme al team di classe e alla famiglia, svolge un ruolo cruciale in questo processo. È chiamato a mantenere la rotta anche nei momenti di maggiore difficoltà, distinguendo tra i problemi reali dello studente e le proprie fragilità personali, per non trasformare la relazione educativa in un terreno di conflitto.
L’intervento psicoeducativo non è solo una tecnica, ma un atteggiamento pedagogico che unisce fermezza e cura, rigore e accoglienza. Significa credere nella possibilità di cambiamento, anche quando le circostanze sembrano avverse, e accompagnare ogni studente lungo il suo percorso di autorealizzazione.
In definitiva, educare attraverso il psicoeducativo vuol dire restituire dignità e speranza, rendendo la scuola non solo un luogo di trasmissione di conoscenze, ma un ambiente capace di accogliere, valorizzare e trasformare le differenze in ricchezza per tutti.
Disclaimer: I contenuti hanno carattere divulgativo e non sostituiscono materiale didattico ufficiale. Sono pensati come risorsa di supporto per lo studio e la preparazione a percorsi formativi e concorsuali.
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