Meraviglia ed etica come fondamenti dell’apprendimento
La meraviglia come radice della conoscenza
Competenze Psicopedagogiche per il Docente Inclusivo
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Ogni autentico percorso educativo nasce dalla meraviglia, intesa come curiosità attiva e costante verso il mondo. È la disposizione che spinge l’essere umano a interrogarsi, a cercare soluzioni nuove e a sviluppare creatività. L’educazione che ignora lo stupore rischia di ridursi a una trasmissione sterile di nozioni, priva di capacità trasformativa.
Filosofi e pedagogisti hanno ricordato che il mondo non si esaurisce mai nelle sue meraviglie: ciò che rischia di perdersi è la nostra capacità di riconoscerle. Per bambini e adolescenti, questa spinta è vitale: alimentare il senso di scoperta significa offrire una base solida per lo sviluppo della conoscenza e della motivazione ad apprendere.
La sacralità della persona come presupposto educativo
Ogni individuo porta con sé un valore intrinseco che l’educazione ha il dovere di riconoscere. La didattica autentica non può prescindere dal rispetto della dignità e dell’unicità di ciascuno, indipendentemente dalle caratteristiche personali, sociali o cognitive.
Questo principio implica che le differenze presenti in classe non debbano essere considerate ostacoli, ma opportunità per elaborare strategie inclusive. Studenti con bisogni educativi specifici, ad esempio, necessitano di attenzioni mirate e di un sostegno personalizzato, affinché possano sviluppare appieno le proprie potenzialità.
Umiltà e rispetto nell’incontro educativo
Accanto al riconoscimento del valore di ogni persona, l’educazione richiede un atteggiamento di umiltà da parte di chi insegna. Un approccio basato sulla prevaricazione o sulla presunzione di sapere già tutto impedisce un autentico dialogo formativo.
L’umiltà non significa svalutare le proprie competenze, ma accettare la possibilità di imparare dagli altri e di rivedere le proprie pratiche. Le programmazioni didattiche non possono essere interpretate come dogmi immutabili: devono invece essere strumenti dinamici, capaci di adattarsi al contesto, alle esigenze degli studenti e ai cambiamenti sociali e culturali.
Il valore del dubbio e della ricerca
La scuola non ha bisogno di figure eccessivamente sicure o rigidamente giudicanti, ma di professionisti disposti a dubitare e a rimettersi in discussione. Il dubbio, inteso come strumento critico e non come segno di debolezza, permette di comprendere meglio le difficoltà degli studenti e di costruire risposte più efficaci.
In questo senso, l’educazione si configura come un processo dinamico di ricerca continua, in cui ogni esperienza diventa occasione di apprendimento reciproco. Il compito dell’insegnante non è trasmettere certezze assolute, ma favorire un percorso di scoperta condivisa, modulando strumenti e strategie in base alle potenzialità di ciascun allievo.
Positività e incoraggiamento come leve educative
Un altro pilastro dell’educazione autentica è la capacità di generare emozioni positive. La serenità e il senso di fiducia rappresentano condizioni decisive per il benessere degli studenti e per l’armonia del gruppo classe.
Adottare un approccio positivo non significa negare le difficoltà, ma affrontarle incoraggiando la resilienza e la motivazione. Ogni parola di sostegno, ogni riconoscimento dei progressi e ogni gesto di incoraggiamento contribuisce a creare un clima favorevole all’apprendimento.
Educazione come equilibrio dinamico
L’educazione, nel suo senso più profondo, nasce dall’incontro fra meraviglia, rispetto per la persona, umiltà e apertura al dubbio. È un equilibrio delicato che richiede sensibilità e consapevolezza, ma che può trasformare la scuola in un ambiente realmente favorevole alla crescita integrale dell’essere umano.
Il cervello come motore dell’apprendimento
Didattica e neuroscienze
L’educazione non è soltanto trasmissione di conoscenze: incide concretamente sulla biologia del cervello. Ogni apprendimento modifica le reti neuronali, creando nuove connessioni e rafforzando quelle esistenti. Quando lo studente riceve un sostegno adeguato, soprattutto per compensare vulnerabilità, le connessioni cerebrali si riorganizzano, generando nuove possibilità di sviluppo.
L’insegnante, in questo quadro, non è un semplice trasmettitore di contenuti, ma un fattore di cambiamento capace di influenzare lo sviluppo cognitivo ed emotivo. È ciò che le neuroscienze descrivono come “differenziale di sviluppo”: la presenza di un educatore può orientare la traiettoria della mente in formazione.
Plasticità cerebrale: un’opportunità e una fragilità
Durante l’età scolare, il cervello si caratterizza per una straordinaria plasticità. Ogni esperienza, positiva o negativa, lascia un’impronta che può modificare in profondità le strutture cerebrali. La curiosità, la meraviglia e la voglia di imparare tipiche dei bambini e degli adolescenti trovano in questa fase terreno fertile per crescere.
Tuttavia, la stessa plasticità rende il cervello vulnerabile. Ambienti segnati da stress, conflitti, bullismo o traumi possono determinare alterazioni significative, in particolare nelle aree frontali deputate al controllo esecutivo e alla regolazione delle emozioni. Questo significa che la qualità dell’ambiente scolastico è decisiva non solo per il rendimento, ma per la salute psicologica e neurologica degli studenti.
La scuola lascia un segno
Ogni esperienza vissuta in aula ha un impatto che va oltre il momento presente. La somma delle ore trascorse a scuola e la rapidità con cui i neuroni elaborano informazioni producono un effetto duraturo, in grado di orientare la memoria, le emozioni e persino la personalità futura.
Un insegnamento empatico e stimolante genera tracce positive, rafforza l’autostima e favorisce lo sviluppo armonico delle funzioni cognitive. Al contrario, un approccio punitivo o svalutante può produrre cicatrici profonde, che non si limitano alla sfera psicologica ma arrivano a condizionare la biologia cerebrale.
Neurogenesi, pruning e mielinizzazione
Lo sviluppo del cervello attraversa due fasi fondamentali:
Infanzia: è il tempo della neurogenesi e della sinaptogenesi, con la formazione rapida di neuroni e sinapsi che danno origine a una rete ricca ma disordinata.
Adolescenza: entra in gioco il pruning, ovvero la potatura delle connessioni in eccesso. Le esperienze guidano il processo, eliminando ciò che è superfluo e consolidando ciò che è utile. Parallelamente, la mielinizzazione riveste gli assoni con una guaina che accelera la trasmissione nervosa, aumentando l’efficienza del sistema.
La metafora del giardiniere che pota i rami secchi per far crescere meglio la pianta rende bene l’idea: il cervello elimina il superfluo per rafforzare l’essenziale. La mielina, invece, funziona come i binari su cui scorrono più rapidamente le informazioni.
Errori e immaturità cognitiva
Gli errori commessi dagli adolescenti non sono fallimenti da stigmatizzare, ma il riflesso di un cervello ancora in costruzione. L’etimologia stessa del verbo “errare” richiama l’idea di esplorare strade senza raggiungere subito la meta. In questa prospettiva, l’errore diventa una risorsa preziosa per comprendere i meccanismi cognitivi e per rimodulare le strategie didattiche.
Il sistema limbico e la ricerca di stimoli forti
In adolescenza, il sistema limbico, centro delle emozioni e della regolazione della dopamina, funziona in modo irregolare. Da qui deriva la naturale tendenza dei giovani a ricercare esperienze intense, sfide e comportamenti a volte rischiosi. È come guidare una macchina potente senza freni del tutto maturi: energia e velocità senza ancora pieno controllo.
Per gli educatori, comprendere questa caratteristica significa interpretare i comportamenti adolescenziali non solo come ribellione, ma come un’espressione fisiologica della ricerca di gratificazione. L’educazione deve quindi coniugare comprensione e guida, aiutando i ragazzi a incanalare questa spinta verso esperienze costruttive.
Il carico cognitivo ed emotivo nell’esperienza scolastica
Le tre dimensioni del carico
L’apprendimento non è solo questione di quantità di nozioni da memorizzare. È un processo che si costruisce all’interno di un equilibrio delicato, composto da tre dimensioni fondamentali:
- Carico cognitivo: lo sforzo mentale necessario per comprendere, elaborare e archiviare le informazioni.
- Carico prestazionale: la pressione derivante da verifiche, interrogazioni e scadenze, che obbliga a prestazioni costanti.
- Carico emotivo: il peso delle emozioni che accompagnano lo studio, positive (incoraggiamento, relazioni supportive) o negative (ansia, stress, conflitti).
Quando queste tre dimensioni si sommano eccessivamente, si rischia un sovraccarico che limita le capacità attentive e mnemoniche, trasformando la scuola da spazio di crescita a luogo di sofferenza.
Warm cognition: il pensiero “caldo”
Contrariamente all’idea di una mente fredda e razionale, le neuroscienze dimostrano che emozioni e cognizioni sono inscindibili. Questo intreccio è noto come warm cognition, ossia pensiero “caldo”: l’emotività condiziona la capacità di ragionare, ricordare e apprendere.
Un sorriso, un feedback incoraggiante o un gesto di sostegno attivano circuiti virtuosi, favorendo motivazione e desiderio di migliorare. Al contrario, critiche brusche o svalutazioni possono innescare un circolo vizioso in cui lo studio viene associato a frustrazione e paura, con conseguenze durature.
Il dolore mentale: una sofferenza invisibile
L’esperienza scolastica può generare anche dolore mentale, una forma di sofferenza profonda ma non immediatamente visibile. Le neuroscienze hanno dimostrato che la corteccia cingolata anteriore, coinvolta nella percezione del dolore fisico, si attiva anche durante stati di forte ansia scolastica.
In modo analogo, gli elettroencefalogrammi mostrano onde cerebrali caratteristiche di paura e disagio in studenti che vivono pressioni eccessive. Questa sofferenza, silenziosa e difficile da rilevare, può compromettere seriamente l’apprendimento e il benessere generale.
Feedback negativi e conseguenze neurologiche
Non servono grandi eventi traumatici per lasciare segni duraturi: anche piccoli gesti – un’espressione di disapprovazione, un commento svalutante, un atteggiamento ironico – possono attivare il circuito del dolore mentale.
Il cervello risponde producendo cortisolo, l’ormone dello stress, che mette l’organismo in stato di allerta e riduce la capacità di concentrazione. Nel lungo periodo, questa reazione può portare a strategie di evitamento: assenze ripetute, rifiuto delle interrogazioni, fino a forme di vera e propria fobia scolare.
Il ruolo dei rinforzi positivi
All’opposto, un contesto sereno e stimolante attiva la produzione di neurotrasmettitori come serotonina, dopamina e ossitocina, che alimentano fiducia, motivazione e piacere nell’apprendere.
Situazioni di gruppo cooperative, riconoscimento dei progressi individuali e incoraggiamento costante creano un terreno fertile per consolidare la memoria e favorire apprendimenti duraturi. In questo senso, la scuola diventa non solo un luogo di formazione cognitiva, ma un vero e proprio laboratorio biochimico che plasma stati emotivi e atteggiamenti verso la conoscenza.
Una metafora per comprendere
Un esperimento classico con un topo in un labirinto aiuta a comprendere il legame tra apprendimento, gratificazione e dolore. Se l’animale trova formaggio senza ostacoli, impara rapidamente il percorso. Se invece riceve una scossa elettrica lungo la strada, alla vista del formaggio non correrà più, ma proverà panico e fuga.
Allo stesso modo, uno studente che associa lo studio a esperienze dolorose finisce per evitarlo, sviluppando un riflesso condizionato che ostacola la motivazione e può portare a un rifiuto cronico della scuola.
Il differenziale di sviluppo e il contributo di Vygotskij
Apprendere con l’aiuto dell’altro
L’essere umano, a differenza degli animali, non nasce autosufficiente: ha bisogno di un lungo percorso di crescita fatto di infanzia e adolescenza. Durante queste fasi, la presenza di figure educative è decisiva per sostenere e orientare lo sviluppo. Ricevere aiuto non è segno di debolezza, ma parte costitutiva della crescita.
La qualità del sostegno ricevuto plasma profondamente il modo in cui l’individuo apprende e affronta il mondo. Per questo la relazione educativa non è mai neutra: può costituire un potente stimolo alla crescita o, al contrario, un ostacolo.
Il contributo di Vygotskij: zona di sviluppo prossimale
Lev Vygotskij, psicologo sovietico del Novecento, ha descritto con chiarezza questo processo attraverso il concetto di differenziale di sviluppo, cioè la distanza tra ciò che una persona è in grado di fare da sola e ciò che può realizzare con l’aiuto di un adulto o di un pari più competente.
Da questa intuizione nasce la teoria della zona di sviluppo prossimale (ZSP): lo spazio intermedio in cui avviene l’apprendimento più significativo, frutto di interazione e collaborazione. È qui che l’educatore svolge un ruolo cruciale, offrendo supporto mirato che permette allo studente di raggiungere gradualmente l’autonomia.
Scaffolding: l’impalcatura educativa
Il concetto di scaffolding (impalcatura) descrive bene la funzione dell’educatore. Come un’impalcatura sostiene la costruzione di un edificio solo finché serve, così il sostegno educativo deve adattarsi alle capacità dello studente e ridursi progressivamente quando non è più necessario.
L’obiettivo finale non è rendere lo studente dipendente dall’aiuto, ma stimolarlo a sviluppare da sé competenze e strategie. Un sostegno eccessivo o sostitutivo rischia infatti di annullare il senso stesso dell’educazione, che è emancipazione e conquista di autonomia.
Interiorizzazione e mediazione culturale
Secondo Vygotskij, l’apprendimento si fonda su due processi chiave:
- Interiorizzazione: il passaggio dall’esterno all’interno, in cui le conoscenze diventano patrimonio personale.
- Mediazione semiotica: l’uso di strumenti culturali come linguaggio, simboli, mappe, schemi o rappresentazioni che facilitano la comprensione e l’interazione con la realtà.
In questa prospettiva, i mediatori didattici – dalle mappe concettuali alle simulazioni, dai giochi di ruolo alle esperienze pratiche – diventano strumenti essenziali per accompagnare lo studente nella ZSP.
Il docente come facilitatore di cambiamento
Il compito dell’insegnante, soprattutto quando lavora con studenti con bisogni educativi speciali, è articolato e delicato:
- osservare e identificare la zona di sviluppo prossimale,
- creare contesti didattici che favoriscano apprendimento e partecipazione,
- offrire aiuto mirato e temporaneo, calibrando le richieste,
- stimolare autonomia attraverso interiorizzazione e mediazione.
Così inteso, il docente non è un semplice fornitore di contenuti, ma un facilitatore di cambiamento. La sua azione incide non solo sull’acquisizione di conoscenze, ma sull’evoluzione cognitiva ed emotiva dello studente, orientando la crescita verso autonomia e responsabilità.
Mediazione, emozioni e cervello nell’apprendimento
Il ruolo dei mediatori didattici
Un percorso educativo efficace si fonda sulla scelta dei mediatori più adatti, cioè strumenti che aiutano lo studente a trasformare le informazioni in conoscenze personali. I mediatori non sono tutti uguali:
- Attivi: esperienze pratiche, attività laboratoriali, sperimentazioni.
- Iconici: immagini, schemi, mappe concettuali, diagrammi.
- Analogici: giochi di ruolo, simulazioni, rappresentazioni teatrali.
- Simbolici: linguaggio, numeri, codici astratti.
La selezione dipende dal momento del percorso e dalle caratteristiche dello studente. L’obiettivo è sempre sostenere la zona di sviluppo prossimale, creando un ponte tra ciò che l’allievo già conosce e ciò che può imparare con il giusto supporto.
Il cervello come laboratorio biochimico
L’apprendimento non è un fenomeno esclusivamente cognitivo: coinvolge la dimensione biologica ed emotiva. Il cervello funziona grazie a impulsi elettrici e sostanze chimiche che modulano stati d’animo e comportamenti.
Situazioni positive (riconoscimento, successo, incoraggiamento) stimolano dopamina, serotonina e ossitocina: ormoni che favoriscono piacere, fiducia e motivazione.
Situazioni negative (stress, ansia, punizioni) attivano invece il cortisolo, che mantiene il cervello in stato di allerta, riducendo la capacità di apprendere.
Queste dinamiche spiegano perché alcuni studenti sviluppano rifiuto scolastico o fobie: associano lo studio a emozioni dolorose, che il cervello “fissa” come esperienze da evitare.
Apprendimento come esperienza significativa
Lo scopo dell’educazione non è riempire di nozioni, ma offrire esperienze di senso. Il filosofo Edgar Morin ha espresso questa idea con la metafora delle “teste ben fatte”: non serve accumulare informazioni, ma formare menti capaci di organizzare e rielaborare i saperi.
Un carico eccessivo di contenuti genera solo dispersione e affaticamento. Al contrario, fornire conoscenze essenziali e intervallarle con pause, momenti di riflessione e attività pratiche permette di consolidare gli apprendimenti nella memoria a lungo termine.
Il potere delle esperienze educative
Ogni esperienza vissuta in classe lascia un segno. Quelle positive rafforzano reti neuronali stabili e resilienti, mentre quelle negative possono trasformarsi in cicatrici difficili da cancellare.
In questo senso, il ruolo dell’educatore va oltre la trasmissione di contenuti: implica la responsabilità di promuovere benessere emotivo e relazionale. L’atto educativo diventa così un processo che incide contemporaneamente sul cervello, sulle emozioni e sulla vita degli studenti.
Educazione come atto trasformativo
Unire etica e neuroscienze permette di vedere l’apprendimento come esperienza trasformativa. Ogni lezione, attività o relazione con gli studenti è un’occasione per stimolare fiducia, resilienza e motivazione.
La didattica che tiene conto della dimensione emotiva e neurobiologica non solo migliora i risultati scolastici, ma contribuisce a costruire individui più consapevoli e capaci di affrontare la complessità della vita.
📌 Box riassuntivo
Punti chiave
- La meraviglia è la radice della conoscenza e stimola la curiosità.
- Ogni persona ha valore unico: l’educazione deve rispettarne la dignità.
- L’errore è un’opportunità di crescita, non un fallimento.
- La plasticità cerebrale rende bambini e adolescenti particolarmente sensibili alle esperienze.
- Emozioni e apprendimento sono inseparabili: la “warm cognition” spiega il loro intreccio.
- L’educatore è facilitatore e scaffolding, non mero trasmettitore di nozioni.
Errori comuni
- Interpretare la programmazione didattica come schema rigido e immutabile.
- Considerare gli errori solo come colpe, invece che come segnali di un cervello in crescita.
- Trascurare il peso del carico emotivo nell’apprendimento.
- Utilizzare mediatori didattici in modo casuale, senza adattarli agli studenti.
- Ridurre l’educazione a un accumulo di nozioni, ignorando le emozioni.
Checklist per l’insegnante
- Coltivo la curiosità e lo stupore in classe?
- Adatto la mia didattica alle caratteristiche e ai bisogni degli studenti?
- Offro feedback positivi e costruttivi, evitando svalutazioni?
- Alterno mediatori diversi (attivi, iconici, analogici, simbolici) nelle lezioni?
- Tengo conto del benessere emotivo della classe tanto quanto dei risultati cognitivi?
Suggerimenti operativi
- Favorire attività pratiche che stimolino meraviglia e motivazione.
- Creare un clima positivo basato su fiducia e incoraggiamento.
- Utilizzare pause e riflessioni per evitare il sovraccarico cognitivo.
- Integrare neuroscienze e pedagogia per comprendere meglio i processi di apprendimento.
- Ricordare che l’obiettivo ultimo è l’autonomia dello studente, non la dipendenza dal docente.
Fonti e letture consigliate
- UNESCO (2021). Reimagining Our Futures Together: A New Social Contract for Education.
- OECD (2019). OECD Future of Education and Skills 2030 Conceptual Learning Framework.
- Morin, E. (1999). La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero. Milano: Raffaello Cortina.
- Vygotskij, L. S. (1978). Mind in Society: The Development of Higher Psychological Processes. Harvard University Press.
- Immordino-Yang, M. H. (2016). Emotions, Learning, and the Brain. W. W. Norton & Company.
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