Il diritto e le sue caratteristiche
Il diritto può essere definito come un insieme di regole, chiamate norme giuridiche, che si distinguono dalle altre regole sociali – come quelle morali, religiose o di semplice educazione – per alcune caratteristiche fondamentali:
- Generalità: le norme giuridiche si applicano a tutti i membri della società civile, indicati con il termine consociati.
- Astrattezza: non fanno riferimento a casi specifici, ma disciplinano situazioni generali che vengono poi applicate a casi concreti.
- Obbligatorietà: sono assistite da una sanzione, che scatta in caso di violazione. Questa caratteristica rappresenta il tratto distintivo rispetto ad altre forme di regole sociali.
Le norme giuridiche hanno tre finalità principali:
- Reprimere i comportamenti socialmente pericolosi, garantendo convivenza e coesistenza civile.
- Allocare beni e servizi, stabilendo chi sia titolare di risorse e poteri.
- Organizzare e disciplinare i poteri pubblici, regolando la loro struttura e funzionamento in funzione degli interessi collettivi.
In questo senso, il diritto si suddivide in due grandi aree: diritto pubblico e diritto privato.
Diritto pubblico e diritto privato
Il diritto pubblico comprende le norme che disciplinano l’organizzazione e il funzionamento dei poteri pubblici e i rapporti tra lo Stato e i cittadini. Include, ad esempio, il diritto costituzionale, amministrativo e penale.
Il diritto privato, invece, regola i rapporti tra soggetti privati (persone, associazioni, fondazioni, imprese) e, in alcuni casi, anche tra privati e pubbliche amministrazioni, quando queste operano come soggetti equiparabili ai privati.
Le istituzioni scolastiche rappresentano un caso particolare: da un lato sono pubbliche amministrazioni e quindi soggette al diritto pubblico per quanto riguarda l’organizzazione e i rapporti con l’utenza (ad esempio i Piani Educativi Individualizzati – PEI – sono provvedimenti amministrativi impugnabili davanti al giudice amministrativo). Dall’altro lato applicano norme di diritto privato nei contratti con fornitori o nel rapporto di lavoro con il personale scolastico, considerato un rapporto di lavoro privatizzato pur con alcune peculiarità.
Norme inderogabili e derogabili
Una differenza essenziale tra diritto pubblico e privato riguarda la natura delle norme:
- Le norme di diritto pubblico sono inderogabili: si applicano indipendentemente dalla volontà dei destinatari (ad esempio le regole del codice della strada).
- Le norme di diritto privato sono generalmente derogabili: i soggetti possono stabilire regole diverse attraverso accordi o contratti, entro certi limiti. La sanzione, in questo caso, non scatta automaticamente ma deve essere richiesta dal soggetto leso davanti a un giudice (es. mancato pagamento di un canone di affitto).
Il diritto nell’ambito scolastico e inclusivo
Applicando queste distinzioni al contesto scolastico, emerge come la disciplina normativa che regola l’istruzione non sia un corpo unitario, ma una combinazione di norme pubblicistiche e privatistiche. Questo incrocio ha conseguenze pratiche sia sul piano organizzativo delle scuole sia sul piano della responsabilità dei docenti.
La normativa italiana, a partire dagli anni ’90 fino ai più recenti provvedimenti (come il Decreto Interministeriale 182/2020 sui modelli di PEI), ha posto particolare attenzione all’inclusione scolastica degli studenti con disabilità. Tale quadro normativo riflette il ruolo centrale della scuola come pubblica amministrazione chiamata a tradurre in pratica principi di uguaglianza, pari opportunità e diritto allo studio.
Le fonti del diritto: produzione, cognizione e criteri di applicazione
Fonti di produzione e fonti di cognizione
Quando si parla di fonti del diritto, si fa riferimento a tutti quegli atti e fatti che producono norme giuridiche. È importante distinguere tra:
- Fonti di produzione: sono gli atti o i fatti da cui scaturiscono le norme giuridiche. Rientrano in questa categoria la Costituzione, le leggi ordinarie, i decreti-legge, i decreti legislativi, i regolamenti, gli statuti regionali, le sentenze della Corte Costituzionale e perfino le consuetudini, che hanno un ruolo oggi residuale. A queste si affiancano le fonti di derivazione europea (trattati, regolamenti, direttive).
- Fonti di cognizione: sono i documenti che rendono conoscibili le norme ai cittadini, come la Gazzetta Ufficiale, i bollettini regionali o la Gazzetta dell’Unione Europea.
Il ruolo delle circolari
Nell’ambito scolastico, è frequente l’uso di circolari e note ministeriali. Tuttavia, queste non costituiscono fonti di diritto: non producono norme giuridiche vincolanti. Le circolari si limitano a fornire:
- disposizioni di servizio (indicazioni operative al personale),
- chiarimenti interpretativi su norme già esistenti o su sentenze.
La loro violazione non determina l’illegittimità degli atti compiuti, ma può comportare conseguenze sul piano disciplinare, in quanto rappresentano istruzioni che rientrano nel rapporto di lavoro subordinato.
Testi unici e codici
Un’attenzione particolare meritano i testi unici e i codici:
- Il testo unico raccoglie e coordina norme già esistenti, senza apportare grandi innovazioni, anche se talvolta introduce elementi nuovi.
- Il codice disciplina in maniera organica e innovativa un’intera materia, riformandola.
Entrambi non vanno considerati semplici fonti di cognizione, ma vere e proprie fonti di produzione, perché incidono direttamente sul contenuto normativo.
Nel settore scolastico, un riferimento fondamentale resta il Testo Unico dell’Istruzione (D.Lgs. 297/1994), ancora oggi una base normativa centrale, sebbene precedente all’introduzione dell’autonomia scolastica.
Criteri per risolvere i conflitti normativi
Le numerose fonti possono generare contrasti tra norme (antinomie). Per risolverli, si applicano quattro criteri:
- Gerarchico: una norma di rango inferiore non può contraddire una norma superiore (es. una legge non può violare la Costituzione).
- Di competenza: ogni fonte può disciplinare solo le materie di sua competenza (es. Stato e Regioni hanno ambiti distinti).
- Cronologico: tra due norme di pari grado, prevale la più recente se incompatibile con la precedente.
- Di specialità: una norma speciale deroga a una norma generale (es. norme specifiche sul pubblico impiego che prevalgono sul diritto privato).
Il primato del diritto europeo
Un discorso a parte riguarda le fonti dell’Unione Europea. Queste prevalgono sempre sulle norme interne contrastanti, anche se successive. In tali casi, il giudice nazionale disapplica la norma interna incompatibile, applicando quella europea. Questo principio, elaborato dalla Corte di Giustizia dell’UE e accolto dalla Corte Costituzionale italiana, trova fondamento negli articoli 11 e 117 della Costituzione. L’unico limite è rappresentato dai diritti fondamentali e inalienabili della persona, che rimangono tutelati anche rispetto al diritto europeo.
Le fonti costituzionali e primarie del diritto
La Costituzione: fondamento e vertice dell’ordinamento
La Costituzione italiana, entrata in vigore il 1° gennaio 1948, rappresenta la fonte suprema dell’ordinamento giuridico.
La sua posizione di vertice è assicurata da tre elementi fondamentali:
- Controllo di costituzionalità: le leggi e gli atti aventi forza di legge devono rispettare i principi costituzionali. Il controllo è affidato alla Corte Costituzionale, che può dichiararne l’illegittimità.
- Procedimento aggravato di revisione: l’articolo 138 della Costituzione prevede che ogni modifica costituzionale debba seguire un iter rafforzato rispetto a quello legislativo ordinario (doppia approvazione da parte delle Camere, intervallo temporale minimo, maggioranze qualificate, eventuale referendum confermativo).
- Limiti assoluti alla revisione: l’articolo 139 stabilisce che la forma repubblicana dello Stato non è modificabile. Inoltre, la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto come intangibili anche i diritti fondamentali e inalienabili della persona.
Leggi costituzionali e leggi di revisione costituzionale
Accanto alla Costituzione, trovano posto:
- le leggi di revisione costituzionale, che modificano direttamente il testo costituzionale;
- le leggi costituzionali, che integrano la Costituzione senza modificarne il testo (ad esempio in materia di funzionamento degli organi costituzionali o di statuti speciali delle Regioni).
L’iter previsto dall’articolo 138 richiede due deliberazioni di ciascuna Camera a distanza di almeno tre mesi. In seconda votazione:
- se la legge ottiene i due terzi dei voti favorevoli, entra in vigore senza referendum;
- se ottiene solo la maggioranza assoluta, può essere sottoposta a referendum confermativo su richiesta di un quinto dei membri di una Camera, 500.000 elettori o cinque Consigli regionali.
Fonti primarie: leggi, decreti e referendum
Leggi ordinarie
Le leggi statali intervengono sia nelle materie di competenza esclusiva dello Stato sia in quelle concorrenti Stato-Regioni. Le leggi regionali, invece, disciplinano le materie di competenza regionale esclusiva e quelle concorrenti, nei limiti fissati dalla Costituzione.
Decreti-legge
Sono atti adottati dal Governo in casi straordinari di necessità e urgenza. Hanno efficacia immediata ma devono essere convertiti in legge dal Parlamento entro 60 giorni, altrimenti decadono.
Decreti legislativi
Sono atti adottati dal Governo sulla base di una legge delega del Parlamento, che ne definisce principi, criteri direttivi, oggetto e termini. Questa forma è spesso utilizzata per materie tecniche o complesse, come i codici e i testi unici.
Statuti regionali
Gli statuti definiscono la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento delle Regioni. Hanno valore di fonte primaria, ma sono subordinati alla Costituzione.
Sentenze della Corte Costituzionale
Le decisioni della Corte che dichiarano l’illegittimità costituzionale di una norma hanno effetto erga omnes (cioè per tutti) e sono esse stesse considerate fonti di produzione del diritto.
Referendum abrogativo
Previsto dall’articolo 75 della Costituzione, consente ai cittadini di abrogare leggi o atti aventi forza di legge. Non possono essere oggetto di referendum abrogativo le leggi di bilancio, di amnistia e indulto, e quelle di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali.
Ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni e nascita dell’autonomia scolastica
La riforma del Titolo V e il nuovo assetto delle competenze
Con la riforma costituzionale del 2001 (legge cost. n. 3/2001) è stata profondamente modificata la distribuzione delle competenze legislative tra Stato e Regioni.
In precedenza, la Costituzione attribuiva esplicitamente alle Regioni un elenco limitato di materie; lo Stato conservava una competenza generale e residuale. Dopo la riforma, la logica è stata capovolta:
- Allo Stato spettano le materie di competenza esclusiva, elencate nell’art. 117 della Costituzione (tra cui la tutela della concorrenza, la difesa, la moneta, la giustizia, le norme generali sull’istruzione).
- Alle Regioni spettano tutte le materie non attribuite espressamente allo Stato.
- Per alcune materie si applica la competenza concorrente Stato-Regioni, in cui lo Stato stabilisce i principi fondamentali e le Regioni legiferano sui dettagli.
Questo modello si fonda anche sul principio di sussidiarietà, secondo cui le funzioni devono essere esercitate dal livello di governo più vicino ai cittadini (in prima battuta i Comuni), salvo esigenze di uniformità che richiedano un accentramento a livello regionale o statale.
La riforma Bassanini e il decentramento amministrativo
Già nel 1997, con la cosiddetta riforma Bassanini (legge n. 59/1997 e decreti attuativi), si era avviato un processo di decentramento. Tale riforma, definita “federalismo a Costituzione invariata”, aveva dato piena attuazione all’art. 118 Cost., conferendo numerose funzioni amministrative dalle strutture centrali dello Stato agli enti territoriali (Regioni, Province, Comuni).
Il principio cardine era che l’amministrazione più vicina al cittadino fosse anche quella più adatta a coglierne i bisogni immediati. Tuttavia, per materie di rilevanza nazionale o sovra-locale (es. tutela dell’ambiente, sicurezza), la gestione rimaneva in capo allo Stato.
L’autonomia delle istituzioni scolastiche
In questo quadro di decentramento si colloca la nascita dell’autonomia scolastica, introdotta proprio dalla legge n. 59/1997. Essa ha riconosciuto alle scuole uno spazio di autogoverno per meglio rispondere alle esigenze formative del territorio.
L’autonomia si articola principalmente in:
- Autonomia organizzativa: le scuole possono organizzare il personale e le risorse in funzione del proprio Piano dell’Offerta Formativa (POF, oggi PTOF – Piano Triennale dell’Offerta Formativa).
- Autonomia didattica: le istituzioni scolastiche hanno la possibilità di adattare i percorsi educativi ai bisogni degli studenti e del contesto sociale, nel rispetto degli obiettivi generali del sistema nazionale di istruzione.
Questa trasformazione ha reso le scuole veri e propri soggetti dotati di capacità progettuale, in grado di modulare l’offerta educativa con maggiore flessibilità e responsabilità.
Le competenze in materia di istruzione
La materia dell’istruzione è oggi regolata in modo articolato:
- Stato: mantiene la competenza esclusiva sulle norme generali sull’istruzione (cicli scolastici, esami di Stato, composizione e funzionamento degli organi collegiali) e sulla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP).
- Regioni: hanno competenza legislativa esclusiva in materia di istruzione e formazione professionale.
- Competenza concorrente Stato-Regioni: riguarda l’istruzione in senso ampio, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche.
La Corte Costituzionale ha avuto un ruolo fondamentale nel precisare, attraverso diverse sentenze, i confini tra competenze statali e regionali, individuando nelle norme generali sull’istruzione tutti gli aspetti connessi al diritto allo studio e ai principi degli articoli 33 e 34 della Costituzione.
Autonomia scolastica, principio di sussidiarietà e inclusione educativa
Il principio di sussidiarietà
Il principio di sussidiarietà è alla base della moderna organizzazione amministrativa italiana. Esso afferma che le funzioni devono essere esercitate dal livello istituzionale più vicino al cittadino, in grado di coglierne direttamente i bisogni. Solo quando esigenze di uniformità, adeguatezza o efficienza lo richiedono, tali funzioni possono essere attribuite a livelli superiori di governo (Province, Regioni, Stato).
Nell’ambito europeo, il principio di sussidiarietà rappresenta un criterio cardine che regola i rapporti tra Unione Europea e Stati membri. In Italia, lo stesso principio ha orientato le riforme degli anni ’90 e 2000, favorendo un ampio decentramento amministrativo e valorizzando le autonomie locali.
L’autonomia delle istituzioni scolastiche
All’interno di questo quadro si inserisce l’autonomia scolastica, introdotta con la legge n. 59/1997 e poi rafforzata dalla normativa successiva. Essa ha trasformato le scuole da semplici articolazioni periferiche dell’amministrazione statale in istituzioni autonome, dotate di una propria capacità progettuale.
Le scuole, grazie a tale autonomia, possono:
- definire il Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF), calibrato sui bisogni formativi degli studenti e sulle esigenze del territorio;
- organizzare le risorse umane e materiali in funzione degli obiettivi educativi;
- sperimentare metodologie e percorsi didattici differenziati, sempre nel rispetto degli standard nazionali.
L’autonomia è dunque sia organizzativa (gestione del personale e delle risorse), sia didattica (programmazione educativa), con l’obiettivo primario di garantire il successo formativo degli studenti.
Autonomia e inclusione scolastica
Il collegamento con l’inclusione è diretto: la possibilità per le scuole di adattare percorsi e organizzazione consente di rispondere in modo più efficace ai bisogni educativi speciali.
Esempi concreti di questa connessione includono:
- la predisposizione di piani personalizzati per studenti con disabilità, bisogni educativi speciali o disturbi specifici dell’apprendimento;
- la flessibilità nella composizione dei gruppi classe o nell’utilizzo delle risorse di sostegno;
- la collaborazione con enti locali, servizi sanitari e associazioni del territorio per creare una rete di supporto attorno allo studente.
In questo modo, l’autonomia scolastica diventa uno strumento essenziale per concretizzare i principi costituzionali di uguaglianza, diritto allo studio e pari opportunità.
Dal POF al PTOF: evoluzione normativa
L’evoluzione dell’autonomia è stata accompagnata anche da una trasformazione degli strumenti di programmazione. Il Piano dell’Offerta Formativa (POF), introdotto nel 1999, è diventato con la legge n. 107/2015 il Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF), documento strategico che definisce identità culturale e progettuale della scuola, nonché la pianificazione delle attività didattiche e organizzative.
Questo passaggio ha rafforzato la dimensione di lungo periodo della progettazione scolastica, assicurando una maggiore coerenza e stabilità negli interventi, compresi quelli dedicati all’inclusione.
La legislazione scolastica per l’inclusione: principi e strumenti normativi
Il quadro legislativo di riferimento
L’ordinamento italiano ha sviluppato, a partire dagli anni ’90, un articolato sistema normativo volto a garantire l’inclusione scolastica degli studenti con disabilità. Questo percorso ha avuto come cardine la Legge 104 del 1992, ancora oggi considerata la “legge quadro” per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone con disabilità.
La legge ha introdotto principi fondamentali:
- il diritto allo studio in classi comuni e non in percorsi separati, salvo casi eccezionali;
- la previsione di insegnanti di sostegno come figure professionali specializzate;
- la collaborazione tra scuola, famiglie e servizi socio-sanitari;
- la definizione di strumenti specifici per la personalizzazione dei percorsi educativi.
A partire da questa base normativa, negli anni successivi si sono susseguiti interventi legislativi e regolamentari volti ad aggiornare e rafforzare i meccanismi di inclusione.
Il Decreto Interministeriale 182/2020
Una tappa rilevante è stata rappresentata dal Decreto Interministeriale 182 del 29 dicembre 2020, che ha introdotto i nuovi modelli di Piano Educativo Individualizzato (PEI), con relativi allegati operativi.
Il PEI è lo strumento principale per l’inclusione scolastica degli studenti con disabilità:
- definisce gli obiettivi educativi, didattici e formativi personalizzati;
- individua le modalità di sostegno e le risorse necessarie;
- stabilisce forme di collaborazione tra scuola, famiglia e operatori socio-sanitari;
- prevede la valutazione dei progressi in termini non solo di apprendimento, ma anche di partecipazione e autonomia.
Il decreto ha rafforzato l’approccio inclusivo, introducendo procedure più uniformi e condivise a livello nazionale. Tuttavia, il suo percorso applicativo è stato complesso: una sentenza del TAR Lazio ne aveva inizialmente annullato l’efficacia, poi ripristinata da una decisione del Consiglio di Stato nel 2022.
Il ruolo della scuola come pubblica amministrazione
Il sistema normativo in materia di inclusione scolastica riflette la natura duale delle istituzioni scolastiche:
- da un lato, esse operano come pubbliche amministrazioni, tenute a garantire diritti e ad applicare norme vincolanti di carattere generale (es. PEI, diritto allo studio, obblighi di vigilanza e sicurezza);
- dall’altro, esercitano la propria autonomia organizzativa e didattica, adattando i principi generali alle esigenze concrete di ciascun contesto.
Responsabilità dei docenti
Un aspetto fondamentale della legislazione inclusiva riguarda la responsabilità dei docenti, e in particolare degli insegnanti di sostegno. Essi sono chiamati non solo a supportare l’apprendimento dello studente con disabilità, ma anche a garantire condizioni di sicurezza e benessere, con responsabilità che possono estendersi sul piano civile, penale, disciplinare e amministrativo.
L’inclusione scolastica, dunque, non è solo un principio giuridico, ma un impegno professionale che coinvolge l’intera comunità educativa, in un equilibrio tra vincoli normativi e autonomia progettuale.
Le fonti primarie del diritto: leggi, decreti e referendum
Le leggi ordinarie
Le leggi ordinarie dello Stato sono fonti primarie che disciplinano materie di competenza esclusiva statale o concorrente tra Stato e Regioni. Hanno rango pari alle leggi regionali, che si applicano invece alle materie di competenza esclusiva delle Regioni o in quelle concorrenti, purché rispettino i principi fondamentali fissati dalla legislazione statale.
Il rapporto tra legge statale e legge regionale è regolato dal criterio di competenza: ciascun livello legislativo può intervenire solo nelle materie attribuitegli dalla Costituzione. In caso di conflitto, spetta alla Corte Costituzionale dirimere la questione, stabilendo se una norma regionale abbia invaso la sfera riservata allo Stato o viceversa.
I decreti-legge
Il decreto-legge è un atto normativo del Governo adottato in casi straordinari di necessità e urgenza. Ha efficacia immediata, ma per rimanere in vigore deve essere convertito in legge dal Parlamento entro 60 giorni dalla pubblicazione.
Se la conversione non avviene, il decreto decade con effetto retroattivo, anche se restano salvi gli effetti prodotti nel frattempo.
I decreti-legge rappresentano dunque una fonte primaria a carattere provvisorio, ma di grande rilevanza pratica, soprattutto in situazioni emergenziali.
I decreti legislativi
Il decreto legislativo è un atto con forza di legge emanato dal Governo su delega del Parlamento. La delega avviene tramite una legge delega, che stabilisce:
- i principi e i criteri direttivi a cui il Governo deve attenersi,
- l’oggetto della delega,
- il termine entro cui il decreto deve essere emanato.
Questa forma normativa è utilizzata per discipline tecniche o molto complesse, come i codici o i testi unici, nei quali il Parlamento preferisce affidare al Governo il compito di redigere testi organici e dettagliati.
Statuti regionali
Gli statuti regionali disciplinano l’organizzazione e il funzionamento delle Regioni, stabilendone la forma di governo e i principi fondamentali. Hanno rango di fonte primaria e una posizione particolare: sono subordinati alla Costituzione, ma prevalgono sulle leggi regionali ordinarie.
Le sentenze della Corte Costituzionale
Le decisioni della Corte Costituzionale che dichiarano l’illegittimità di una norma hanno efficacia erga omnes, cioè valgono per tutti. In questo modo, esse stesse si configurano come fonti di produzione del diritto, in quanto eliminano norme incompatibili con la Costituzione e contribuiscono a definire l’ordinamento.
Il referendum abrogativo
Il referendum abrogativo, previsto dall’art. 75 della Costituzione, è uno strumento di democrazia diretta attraverso cui i cittadini possono decidere di abrogare, in tutto o in parte, una legge o un atto avente forza di legge.
Perché sia indetto occorrono le firme di 500.000 elettori o la richiesta di cinque Consigli regionali.
Non possono però essere oggetto di referendum le leggi di bilancio, di amnistia e indulto, e quelle di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali.
Le competenze legislative e amministrative in materia di istruzione
Il nuovo assetto dopo la riforma del Titolo V
La riforma costituzionale del 2001 ha ridefinito profondamente il rapporto tra Stato e Regioni in tema di istruzione. L’articolo 117 della Costituzione ha stabilito una chiara distinzione:
- Competenze esclusive dello Stato: comprendono le norme generali sull’istruzione e la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP), che devono essere garantiti in modo uniforme su tutto il territorio nazionale.
- Competenze concorrenti Stato-Regioni: riguardano l’istruzione in senso lato, con lo Stato chiamato a stabilire i principi fondamentali e le Regioni responsabili della disciplina di dettaglio.
- Competenze esclusive delle Regioni: riguardano l’istruzione e formazione professionale, nonché tutte le materie non espressamente attribuite allo Stato.
In questo modo, la potestà legislativa delle Regioni è divenuta generale e residuale, mentre allo Stato spetta solo ciò che è espressamente previsto dalla Costituzione.
Il principio di sussidiarietà nell’amministrazione scolastica
La distribuzione delle competenze non è solo legislativa, ma anche amministrativa. L’articolo 118 della Costituzione attribuisce ai Comuni il compito di svolgere, in via generale, le funzioni amministrative, salvo che esse non richiedano, per motivi di adeguatezza o uniformità, l’intervento di Province, Regioni o dello Stato.
Questo principio si riflette anche nel settore scolastico:
- ai Comuni spettano, ad esempio, compiti legati all’edilizia scolastica, ai servizi di trasporto e di mensa;
- le Regioni si occupano della programmazione dell’offerta formativa e della formazione professionale;
- lo Stato mantiene la regolamentazione delle norme generali e dei livelli essenziali.
Il ruolo della Corte Costituzionale
La distinzione tra norme generali di competenza statale e aspetti di dettaglio affidati alle Regioni non è sempre stata chiara. La Corte Costituzionale è intervenuta più volte per precisare i confini:
- Ha chiarito che rientrano nelle norme generali sull’istruzione tutti gli aspetti connessi agli articoli 33 e 34 della Costituzione: diritto allo studio, obbligo scolastico, ordinamento dei cicli, esami di Stato, accesso alla scuola pubblica.
- Ha riconosciuto alle Regioni spazi significativi di intervento, purché non vengano compromessi i principi di uguaglianza e uniformità garantiti dallo Stato.
L’autonomia scolastica come punto di equilibrio
L’assetto delineato dalla riforma e dagli interventi giurisprudenziali trova un naturale punto di equilibrio nell’autonomia scolastica, che consente alle singole istituzioni di adattare la propria offerta formativa alle esigenze del territorio, nel rispetto delle norme generali statali.
Questo meccanismo permette di conciliare:
- l’unitarietà del sistema nazionale di istruzione, necessaria per garantire pari diritti agli studenti su tutto il territorio;
- la flessibilità locale, che consente di rispondere in modo mirato alle specificità regionali e comunali.
La funzione docente e le responsabilità professionali
Il profilo professionale del docente
La funzione docente non si limita alla trasmissione di conoscenze, ma comprende un insieme articolato di responsabilità educative, formative e relazionali. L’insegnante è chiamato a promuovere lo sviluppo integrale della persona, favorendo non solo l’apprendimento, ma anche la crescita sociale e civile degli studenti.
In questo quadro, il docente è investito di un ruolo pubblico: opera come funzionario di una pubblica amministrazione, con doveri di correttezza, imparzialità e rispetto delle norme. Il suo operato si colloca, quindi, in un intreccio tra autonomia professionale e vincoli giuridici.
Il ruolo degli insegnanti di sostegno
Gli insegnanti di sostegno rivestono una posizione particolarmente delicata. Essi hanno la responsabilità di garantire l’effettiva attuazione del diritto all’istruzione degli studenti con disabilità e di favorirne la piena inclusione nella comunità scolastica.
La loro azione si sviluppa su più livelli:
- Didattico: progettazione e realizzazione di percorsi personalizzati, in coerenza con il Piano Educativo Individualizzato (PEI).
- Relazionale: mediazione tra lo studente, il gruppo classe, i colleghi e la famiglia, promuovendo un clima inclusivo.
- Collaborativo: lavoro in sinergia con il consiglio di classe, gli specialisti socio-sanitari e gli enti del territorio.
Responsabilità giuridiche del docente
L’attività del docente è sottoposta a diverse forme di responsabilità:
- Responsabilità civile: può derivare da danni arrecati agli studenti o a terzi per negligenza, imprudenza o imperizia. Ad esempio, l’omessa vigilanza sugli alunni rientra nella sfera della responsabilità civile.
- Responsabilità penale: si configura nei casi in cui il comportamento costituisca reato (es. omissione di soccorso, lesioni colpose, maltrattamenti).
- Responsabilità amministrativa e contabile: attiene all’uso delle risorse pubbliche e alla gestione dei beni scolastici.
- Responsabilità disciplinare: riguarda le violazioni dei doveri d’ufficio, valutate secondo il contratto collettivo e i regolamenti scolastici.
Il dovere di vigilanza
Tra gli obblighi più rilevanti vi è quello di vigilanza sugli studenti, che assume un peso particolare nel caso degli insegnanti di sostegno. Essi devono garantire condizioni di sicurezza, prevenendo situazioni di rischio e tutelando l’incolumità fisica e psicologica degli alunni.
La vigilanza, in ambito scolastico, non è solo un obbligo giuridico ma anche una responsabilità etica, strettamente connessa alla missione educativa.
Inclusione come responsabilità collettiva
Pur avendo un ruolo specifico, l’insegnante di sostegno non è l’unico responsabile dell’inclusione. L’intero corpo docente è chiamato a condividere questa missione, poiché l’inclusione non si realizza in una logica di delega, ma attraverso una corresponsabilità educativa.
In tal senso, il quadro normativo italiano ribadisce il principio secondo cui l’alunno con disabilità appartiene alla classe e non al singolo insegnante di sostegno, e la sua inclusione rappresenta un obiettivo comune di tutta la comunità scolastica.
Fonti di rango costituzionale e controllo di costituzionalità
La Costituzione al vertice delle fonti
La Costituzione della Repubblica Italiana rappresenta la fonte suprema dell’ordinamento giuridico. La sua posizione di vertice si manifesta attraverso specifiche garanzie che ne assicurano la stabilità e la superiorità rispetto a tutte le altre fonti normative.
Essa non solo disciplina i principi fondamentali dello Stato e i diritti dei cittadini, ma individua anche i meccanismi di tutela della propria rigidità e della conformità delle leggi ordinarie ai suoi precetti.
Il procedimento di revisione costituzionale
La revisione della Costituzione è regolata dall’articolo 138, che prevede un procedimento aggravato rispetto a quello delle leggi ordinarie:
- Ogni proposta di legge costituzionale deve essere approvata due volte da entrambe le Camere, con un intervallo di almeno tre mesi tra le votazioni.
- Nella seconda votazione è richiesta la maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera.
- Se la legge ottiene i due terzi dei voti, entra in vigore senza referendum.
- Se ottiene solo la maggioranza assoluta, può essere sottoposta a referendum costituzionale confermativo, richiesto da un quinto dei membri di una Camera, da 500.000 elettori o da cinque Consigli regionali.
Il referendum, in questo caso, non richiede quorum: la legge entra in vigore solo se ottiene la maggioranza dei voti validamente espressi.
Limiti alla revisione costituzionale
L’articolo 139 pone un limite assoluto: la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione.
La Corte Costituzionale, inoltre, ha individuato ulteriori limiti impliciti, rappresentati dai diritti fondamentali e inalienabili della persona, considerati anch’essi intangibili.
Il controllo di costituzionalità delle leggi
Un altro strumento di garanzia è il controllo di costituzionalità, affidato alla Corte Costituzionale (artt. 134 e seguenti della Costituzione).
Questo controllo ha due obiettivi principali:
- assicurare che le leggi ordinarie e gli atti aventi forza di legge siano conformi ai principi e alle disposizioni costituzionali;
- tutelare i diritti fondamentali dei cittadini da eventuali violazioni da parte del legislatore.
Le sentenze della Corte hanno effetto erga omnes, cioè producono conseguenze per tutti, eliminando dall’ordinamento le norme dichiarate incostituzionali.
Leggi costituzionali e leggi di revisione
Si distinguono:
- le leggi di revisione costituzionale, che modificano direttamente il testo della Costituzione;
- le leggi costituzionali, che hanno pari rango ma intervengono a disciplinare aspetti aggiuntivi (ad esempio in materia di statuti speciali delle Regioni o di nuovi organi costituzionali).
In entrambi i casi, la procedura rafforzata assicura stabilità e coerenza al sistema costituzionale.

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Le fonti primarie: leggi, decreti e statuti regionali
Le leggi ordinarie dello Stato e delle Regioni
Le leggi ordinarie costituiscono la forma più diffusa di produzione normativa.
Le leggi statali disciplinano sia le materie di competenza esclusiva dello Stato sia quelle di competenza concorrente con le Regioni.
Le leggi regionali, invece, intervengono nelle materie di competenza esclusiva regionale e in quelle concorrenti, purché rispettino i principi fondamentali fissati dalla legislazione statale.
Il rapporto tra leggi statali e regionali si regge sul criterio di competenza, definito dalla Costituzione e costantemente interpretato dalla Corte Costituzionale, che ha il compito di annullare le leggi che invadono ambiti riservati ad altri livelli legislativi.
Il decreto-legge
Il decreto-legge è uno strumento normativo del Governo caratterizzato da urgenza e necessità straordinaria.
Ha efficacia immediata dalla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Deve essere presentato alle Camere lo stesso giorno della sua emanazione e convertito in legge entro 60 giorni.
In caso di mancata conversione, perde efficacia sin dall’inizio (ex tunc), anche se restano validi gli effetti prodotti durante il periodo di vigenza.
Questo strumento è spesso utilizzato in situazioni di emergenza, ma la sua applicazione è stata oggetto di dibattito per il frequente ricorso anche in materie non sempre urgenti.
Il decreto legislativo
Il decreto legislativo è emanato dal Governo sulla base di una legge delega del Parlamento.
La legge delega deve precisare:
- i principi e criteri direttivi da rispettare,
- l’oggetto della delega,
- il termine temporale entro cui il Governo può esercitare il potere delegato.
Il decreto legislativo è lo strumento con cui si approvano spesso i testi unici e i codici, data la complessità tecnica delle materie. Esso consente di concentrare il lavoro di redazione normativa in sede governativa, pur mantenendo una cornice di controllo parlamentare.
Gli statuti regionali
Gli statuti regionali definiscono la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento della Regione.
Hanno rango di fonte primaria, superiore rispetto alle leggi regionali ordinarie ma subordinato alla Costituzione.
Le Regioni a statuto speciale (come Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige e Friuli Venezia Giulia) godono di una particolare autonomia legislativa e amministrativa, sancita da statuti approvati con leggi costituzionali.
Gli statuti delle Regioni a statuto ordinario, invece, sono approvati con legge regionale ma devono essere coerenti con i principi costituzionali.
Referendum abrogativo e sentenze della Corte Costituzionale
Il referendum abrogativo
Il referendum abrogativo, disciplinato dall’articolo 75 della Costituzione, è uno strumento di democrazia diretta che consente ai cittadini di abrogare, in tutto o in parte, una legge o un atto avente forza di legge.
Caratteristiche principali
- Può essere richiesto da 500.000 elettori o da almeno cinque Consigli regionali.
- Non tutte le leggi possono essere sottoposte a referendum: ne sono escluse le leggi di bilancio, quelle di amnistia e indulto e le leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali.
- Perché il referendum sia valido, è necessario il raggiungimento del quorum di partecipazione: deve recarsi alle urne almeno il 50% più uno degli aventi diritto al voto.
Effetti giuridici
Se il referendum ha esito positivo, la norma sottoposta a consultazione viene abrogata e cessa di avere efficacia. In questo senso, il referendum si configura come una vera e propria fonte del diritto, in quanto interviene a modificare direttamente l’ordinamento normativo.
Le sentenze della Corte Costituzionale
Le decisioni della Corte Costituzionale rappresentano un altro strumento fondamentale di produzione normativa.
Il controllo di legittimità costituzionale
La Corte verifica che le leggi e gli atti aventi forza di legge siano conformi ai principi della Costituzione. Se una norma è dichiarata incostituzionale, essa viene eliminata dall’ordinamento e non può più essere applicata.
Effetti delle sentenze
Le sentenze della Corte hanno efficacia erga omnes, cioè vincolano non solo le parti in causa, ma l’intera collettività.
Eliminando dall’ordinamento norme contrarie alla Costituzione, producono un effetto creativo, rendendole a tutti gli effetti fonti di produzione del diritto.
Esempi rilevanti
La giurisprudenza costituzionale ha avuto un impatto decisivo su molti ambiti della vita civile e scolastica:
- ha garantito la piena attuazione del principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione;
- ha tutelato il diritto allo studio e l’accesso equo ai percorsi formativi;
- ha chiarito i rapporti tra Stato e Regioni in materia di istruzione, delimitando le rispettive competenze.
Istruzione, formazione professionale e autonomia scolastica dopo la riforma costituzionale del 2001
La distribuzione delle competenze legislative
L’articolo 117 della Costituzione, riformulato nel 2001, ha ridisegnato in modo significativo la distribuzione delle competenze legislative in materia di istruzione.
- Stato: mantiene la competenza esclusiva sulle norme generali sull’istruzione e sulla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP). Questi ultimi hanno lo scopo di assicurare diritti uniformi a tutti i cittadini, indipendentemente dal territorio di residenza.
- Regioni: hanno competenza esclusiva in materia di istruzione e formazione professionale, nonché in tutte le materie non attribuite espressamente allo Stato.
- Competenza concorrente Stato-Regioni: riguarda l’istruzione in senso più ampio, con lo Stato che definisce i principi fondamentali e le Regioni che ne regolano gli aspetti di dettaglio.
La Corte Costituzionale ha chiarito che rientrano tra le norme generali sull’istruzione (e quindi di competenza statale) gli elementi direttamente collegati agli articoli 33 e 34 della Costituzione: diritto allo studio, accesso alla scuola pubblica, cicli di istruzione, esami di Stato e ordinamento scolastico generale.
La formazione professionale
La formazione professionale è materia attribuita in via esclusiva alle Regioni. Esse ne disciplinano sia l’organizzazione sia i contenuti, in stretta connessione con le esigenze del tessuto produttivo e occupazionale locale.
Questo ha permesso lo sviluppo di percorsi differenziati, orientati a rispondere in modo diretto alle necessità del mercato del lavoro regionale, pur all’interno di un quadro nazionale di coordinamento e riconoscimento dei titoli.
Le funzioni amministrative
Sul piano amministrativo, l’articolo 118 della Costituzione stabilisce che le funzioni siano attribuite, in via generale, ai Comuni, salvo che esigenze di adeguatezza e uniformità richiedano l’intervento di livelli superiori (Province, Regioni, Stato).
Nell’ambito scolastico:
- ai Comuni spettano compiti come l’edilizia scolastica di base, i trasporti e i servizi di mensa;
- alle Regioni competono la programmazione dell’offerta formativa e la gestione della formazione professionale;
- allo Stato resta la garanzia del quadro unitario e dei principi fondamentali.
Il ruolo dell’autonomia scolastica
La riforma del Titolo V ha rafforzato ulteriormente il significato dell’autonomia scolastica, già introdotta dalla legge n. 59/1997.
Grazie all’autonomia:
- le scuole possono definire il proprio Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF), calibrato sui bisogni educativi del territorio;
- possono organizzare liberamente le risorse umane e strumentali per raggiungere gli obiettivi educativi;
- possono personalizzare i percorsi di apprendimento, favorendo l’inclusione e il successo formativo.
L’autonomia, quindi, rappresenta il punto di raccordo tra la legislazione statale, le competenze regionali e le esigenze locali, consentendo di mantenere un sistema nazionale unitario ma al tempo stesso flessibile.
Sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza nelle funzioni amministrative scolastiche
Il principio di sussidiarietà
Il principio di sussidiarietà, sancito dall’articolo 118 della Costituzione, stabilisce che le funzioni amministrative devono essere esercitate dall’ente territoriale più vicino ai cittadini, cioè il Comune, salvo i casi in cui esigenze di efficienza o uniformità rendano necessario attribuirle a livelli superiori (Province, Regioni o Stato).
In ambito scolastico, questo significa che:
- i Comuni si occupano di edilizia scolastica di base, servizi di mensa, trasporto e fornitura di materiale didattico;
- le Province (o le Città metropolitane) gestiscono l’edilizia e i servizi delle scuole secondarie superiori;
- le Regioni programmano l’offerta formativa e si occupano della formazione professionale;
- lo Stato mantiene il compito di definire i principi fondamentali e garantire i diritti costituzionali all’istruzione.
Il principio di differenziazione
Il principio di differenziazione prevede che la distribuzione delle funzioni amministrative non sia identica per tutti gli enti, ma tenga conto delle caratteristiche specifiche di ciascun territorio.
Ad esempio, una Regione con alta dispersione scolastica può attribuire priorità a interventi di recupero e sostegno, mentre altre possono puntare maggiormente sull’innovazione tecnologica o sulla formazione professionale.
Nel contesto scolastico, questo principio consente di adattare i servizi educativi alle esigenze locali, garantendo una maggiore aderenza alla realtà sociale ed economica del territorio.
Il principio di adeguatezza
Il principio di adeguatezza stabilisce che ogni funzione debba essere attribuita all’ente in grado di esercitarla nel modo più efficace. Non si tratta, quindi, solo di prossimità al cittadino, ma anche di capacità gestionale.
Ad esempio:
- l’organizzazione di un servizio di trasporto scolastico comunale può essere più efficiente se gestita dal Comune;
- la programmazione di una rete scolastica a livello regionale, invece, richiede una visione più ampia e coordinata, che vada oltre i singoli confini municipali.
Applicazioni pratiche nel settore scolastico
Un esempio concreto dell’applicazione di questi principi si trova nella gestione degli alunni con disabilità:
- i Comuni garantiscono i servizi di supporto materiale, come il trasporto e l’assistenza di base;
- le Regioni intervengono nel finanziamento e nella regolamentazione dei servizi socio-sanitari collegati alla scuola;
- lo Stato assicura l’inquadramento normativo generale, come nel caso della legge 104/1992 e del Decreto Interministeriale 182/2020 sui PEI.
Questi criteri – sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza – concorrono a creare un sistema educativo che, pur rispettando l’unità nazionale, è in grado di adattarsi alle diversità territoriali e di garantire maggiore efficienza e inclusione.
Conclusione: l’inclusione scolastica come principio giuridico e pratica educativa
L’analisi della legislazione scolastica evidenzia come l’inclusione non sia un concetto meramente pedagogico, ma un principio giuridico consolidato, fondato sulla Costituzione e su un articolato sistema normativo sviluppatosi negli ultimi decenni.
La centralità dell’alunno, il diritto all’istruzione e la valorizzazione delle diversità sono diventati cardini dell’azione educativa, sostenuti da strumenti concreti come:
- il Piano Educativo Individualizzato (PEI),
- l’autonomia scolastica,
- la corresponsabilità educativa tra docenti, famiglie e istituzioni.
La scuola, in quanto pubblica amministrazione, ha l’obbligo di garantire pari opportunità, accesso e partecipazione a tutti gli studenti, attraverso un’organizzazione inclusiva e una progettazione didattica attenta ai bisogni individuali.
In questo scenario, il ruolo del docente, e in particolare dell’insegnante di sostegno, assume un valore centrale, non solo sul piano didattico ma anche giuridico ed etico.
L’inclusione, dunque, si configura come una responsabilità collettiva e un obiettivo imprescindibile per costruire una società più equa e rispettosa delle differenze.
Disclaimer: I contenuti hanno carattere divulgativo e non sostituiscono materiale didattico ufficiale. Sono pensati come risorsa di supporto per lo studio e la preparazione a percorsi formativi e concorsuali.
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