Il senso e le finalità degli interventi di sostituzione degli atti comunicativi prelinguistici
Competenze Psicopedagogiche per il Docente Inclusivo
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La comunicazione rappresenta il nucleo di ogni relazione umana, ma per molte persone con disabilità – in particolare nei casi di compromissione cognitiva o motoria grave – essa non può basarsi esclusivamente sul linguaggio verbale. Gli interventi educativi e riabilitativi mirano quindi a costruire un sistema di comunicazione più efficace, capace di sostituire progressivamente gli atti prelinguistici o i comportamenti non simbolici con modalità più strutturate e condivise. In quest’ottica, la finalità principale è sviluppare un sistema simbolico che consenta alla persona di interagire in modo più autonomo, riducendo anche il rischio di isolamento o di stigmatizzazione sociale.
Gli approcci contemporanei, come il training di comunicazione funzionale (Functional Communication Training, FCT), rappresentano un punto di svolta. Questo metodo, nato nell’ambito della psicologia comportamentale e successivamente integrato con contributi della neuropsicologia dello sviluppo, si propone di identificare e sostituire comportamenti preesistenti – spesso inadeguati o socialmente non accettabili – con altri equivalenti dal punto di vista comunicativo ma più efficaci e meno problematici. Per esempio, un adolescente che batte le mani o si muove sulla sedia a rotelle per richiamare l’attenzione può essere guidato a utilizzare un dispositivo comunicativo (VOCA) o un segno manuale convenzionale, come indicare un oggetto o pronunciare un suono simbolico.
La logica di fondo è quella dell’equivalenza funzionale: l’intervento non mira a reprimere il comportamento preesistente, ma a offrirne un’alternativa più efficiente e socialmente adeguata. Perché il nuovo comportamento sostitutivo venga appreso e mantenuto, deve essere più semplice da eseguire, compatibile con le capacità motorie e cognitive della persona e soprattutto immediatamente rinforzato dall’ambiente. La comunicazione non è mai un processo unidirezionale: il successo dell’intervento dipende anche dalla risposta dell’interlocutore, che deve riconoscere, valorizzare e rinforzare il nuovo segnale comunicativo.
Un aspetto cruciale di questi programmi è la non rinforzazione del comportamento originario. Ciò significa che, mentre si promuove la nuova forma comunicativa, si evita di rispondere a quella inadeguata, favorendone gradualmente l’estinzione. Questo principio, se applicato con coerenza e sensibilità, consente alla persona di comprendere che solo attraverso il nuovo segnale simbolico ottiene attenzione, interazione o soddisfazione di un bisogno. Nel tempo, questo processo contribuisce non solo a migliorare la comunicazione, ma anche a ridurre episodi di frustrazione, agitazione o comportamenti problematici, spesso derivanti proprio dall’incapacità di esprimersi in modo comprensibile.
Tali interventi non si limitano alla sfera linguistica: rappresentano un investimento globale sul benessere relazionale, sulla qualità della vita e sull’inclusione sociale. La sostituzione degli atti prelinguistici, infatti, non è un mero esercizio tecnico, ma un passo verso una comunicazione più umana e partecipata. Ogni nuovo segno, ogni gesto condiviso, diventa un ponte tra la persona e il mondo, una possibilità di riconoscimento reciproco che restituisce dignità al bisogno di esprimersi e di essere compresi.
Il training di comunicazione funzionale e i principi di efficacia della risposta
Il Functional Communication Training (FCT), o training di comunicazione funzionale, è una metodologia di intervento che nasce per facilitare la transizione da comportamenti prelinguistici o inadeguati verso forme comunicative più simboliche e socialmente condivise. L’obiettivo non è solo “insegnare a parlare”, ma costruire un repertorio di azioni, gesti, suoni o segni che permettano alla persona di comunicare in modo efficace, comprensibile e accettato nei diversi contesti di vita. Questo approccio si fonda su una solida base comportamentale e cognitiva, ed è ampiamente utilizzato nei programmi di educazione speciale e riabilitazione logopedica.
Il principio cardine del training è la funzionalità del comportamento comunicativo: ogni azione o segnale deve servire a ottenere qualcosa di concreto (attenzione, oggetti, aiuto, interazione) e deve avere un valore reale per chi lo utilizza. In questo senso, la nuova forma comunicativa non può essere astratta o imposta dall’esterno: deve essere percepita come utile, immediata e vantaggiosa rispetto al comportamento precedente. Se un bambino, per esempio, spinge o grida per chiedere un gioco, il training gli insegnerà a sostituire quel gesto con un segno, una parola, o la pressione di un pulsante che riproduce un messaggio vocale. Il comportamento nuovo ha la stessa funzione del vecchio (ottenere il gioco), ma è più efficace e socialmente accettabile.
Un concetto chiave è quello di efficacia della risposta. Affinché una nuova forma comunicativa venga mantenuta nel tempo, deve essere più semplice, rapida e coerente con le capacità fisiche e cognitive della persona. Un sistema troppo complesso o faticoso rischierebbe di fallire, perché la persona tornerebbe spontaneamente al comportamento originario, più familiare e immediato. È dunque essenziale che l’educatore o il terapista scelga strumenti compatibili con le abilità individuali, valutando caso per caso. Nei protocolli internazionali (ad esempio quelli del National Research Council, 2020), l’efficacia si valuta in base alla rapidità di emissione del segnale, alla sua comprensibilità per l’interlocutore e alla capacità di generare un rinforzo positivo immediato.
Durante il percorso, l’ambiente ha un ruolo determinante. Ogni volta che compare la nuova forma comunicativa, essa deve essere rinforzata — con parole di approvazione, gesti, o l’immediata soddisfazione della richiesta — mentre la vecchia forma non deve più essere rinforzata. Questo meccanismo, noto come rinforzo differenziale, stimola l’estinzione del comportamento indesiderato e consolida quello nuovo. Col tempo, il supporto dell’adulto viene gradualmente ridotto, lasciando spazio all’autonomia comunicativa del soggetto. L’obiettivo finale è che la persona riesca a esprimersi senza mediazione, utilizzando spontaneamente le nuove strategie acquisite.
Un elemento spesso sottovalutato ma fondamentale è la motivazione. La comunicazione, per essere appresa e mantenuta, deve generare gratificazione. Il partner comunicativo – insegnante, genitore o terapista – deve quindi creare contesti che rendano desiderabile l’interazione: pause intenzionali durante un’attività, momenti di attesa, scelte da compiere. In queste situazioni, la persona è portata a comunicare perché spinta da un bisogno reale, e il rinforzo immediato ne consolida l’apprendimento.
Infine, il training funzionale non riguarda solo il linguaggio, ma l’intera sfera relazionale. Sviluppare una comunicazione efficace significa costruire fiducia, autostima e senso di competenza. L’individuo che riesce a farsi capire sperimenta un maggiore controllo sul proprio ambiente, e questo riduce comportamenti problematici legati alla frustrazione o all’impotenza comunicativa. In questo modo, l’intervento non è solo terapeutico, ma profondamente educativo e inclusivo.
La Comunicazione Aumentativa e Alternativa (CAA): principi, obiettivi e ambiti di applicazione
La Comunicazione Aumentativa e Alternativa (CAA, in inglese Augmentative and Alternative Communication – AAC) rappresenta uno degli strumenti più efficaci per sostenere le persone che presentano difficoltà di linguaggio o di comunicazione verbale. Il termine “aumentativa” si riferisce al fatto che la CAA non sostituisce necessariamente il linguaggio naturale, ma lo potenzia e lo arricchisce; “alternativa” perché può diventare un canale comunicativo alternativo quando la parola è assente o fortemente compromessa. Si tratta, quindi, di un insieme di strategie, strumenti e approcci che hanno lo scopo di consentire alla persona di comunicare in modo efficace, autonomo e partecipativo.
L’approccio CAA si fonda su un principio fondamentale: tutti gli esseri umani hanno diritto alla comunicazione. Anche in assenza del linguaggio verbale, ogni individuo deve poter esprimere bisogni, desideri, opinioni ed emozioni, interagendo con il proprio ambiente in modo attivo. Per questo motivo, la CAA non riguarda solo la logopedia o la riabilitazione, ma coinvolge l’intera comunità educativa – scuola, famiglia, terapisti, insegnanti di sostegno – in un percorso condiviso che mette la persona al centro. È un modello di comunicazione sociale, non unicamente clinico, e si inserisce pienamente nei principi dell’inclusione scolastica e della partecipazione sociale promossi anche dalle linee guida dell’OMS e dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (art. 21).
Le modalità di intervento possono essere estremamente variabili. La CAA utilizza codici visivi, gestuali, tattili o tecnologici per rappresentare parole, concetti e azioni. I sistemi più diffusi includono:
- l’uso di simboli grafici o pittografici (ad esempio i PCS, Picture Communication Symbols), che associano un’immagine a una parola o a un concetto;
- le tabelle o i quaderni di comunicazione, in cui la persona può indicare o toccare simboli e parole;
- i dispositivi elettronici VOCA (Voice Output Communication Aids), che emettono un messaggio vocale pre-registrato o generato in tempo reale al tocco di un pulsante o di un’icona;
- gli ausili digitali e le app per tablet o smartphone, che permettono di personalizzare il vocabolario visivo e integrarlo con sintesi vocali, testi e immagini.
L’efficacia della CAA dipende dalla personalizzazione del sistema comunicativo. Non esiste una strategia valida per tutti: ogni intervento deve essere costruito in base alle capacità cognitive, motorie e sensoriali del soggetto, nonché ai contesti in cui vive. Nei casi più complessi – ad esempio nella paralisi cerebrale infantile, nelle disabilità motorie gravi o nei disturbi dello spettro autistico – la CAA può diventare un mezzo di comunicazione primario, mentre in altre situazioni funge da supporto temporaneo per facilitare l’acquisizione del linguaggio orale.
Negli ultimi anni, le ricerche hanno evidenziato come l’introduzione precoce della CAA favorisca non solo lo sviluppo comunicativo, ma anche quello cognitivo e socio-relazionale. Secondo la American Speech-Language-Hearing Association (ASHA, 2022), l’uso combinato di linguaggio verbale, gesti, immagini e tecnologie migliora la comprensione, la memoria e l’interazione sociale, contribuendo a prevenire l’impoverimento comunicativo e l’isolamento. Anche in Italia, il Centro Benedetta D’Intino e la Fondazione ASPHI hanno dimostrato l’efficacia della CAA come strumento inclusivo per l’apprendimento e la partecipazione scolastica.
La CAA, quindi, non va intesa come una “tecnica per non parlanti”, ma come un modo alternativo di pensare la comunicazione. Il suo valore sta nella possibilità di rendere visibile e comprensibile ciò che spesso resta invisibile: l’intenzione comunicativa, la volontà di partecipare, la presenza attiva della persona. In questo senso, rappresenta una forma concreta di cittadinanza comunicativa, dove ogni segno, immagine o gesto contribuisce a costruire relazione, apprendimento e inclusione.
Strumenti e tecnologie nella Comunicazione Aumentativa e Alternativa: dai simboli ai dispositivi VOCA
La Comunicazione Aumentativa e Alternativa (CAA) si fonda sull’uso di strumenti che rendono la comunicazione accessibile, tangibile e condivisibile. Le strategie aumentative possono spaziare dai più semplici supporti visivi alle tecnologie digitali più evolute, ma tutte hanno un obiettivo comune: permettere alla persona di esprimersi con efficacia e autonomia. La scelta dello strumento dipende dalle abilità motorie, cognitive e sensoriali dell’utente, oltre che dal contesto educativo o riabilitativo in cui viene applicata.
Uno dei sistemi simbolici più diffusi a livello internazionale è quello dei Picture Communication Symbols (PCS), una raccolta di oltre diecimila immagini che rappresentano parole, azioni e concetti, tradotte in molte lingue e adattabili a vari livelli di complessità. Questi simboli vengono organizzati in tabelle o quaderni di comunicazione e permettono di costruire frasi o messaggi anche complessi attraverso la combinazione di immagini e parole. In questo modo, la persona non solo comunica, ma impara a strutturare un linguaggio visivo coerente, che può diventare la base per lo sviluppo del linguaggio scritto e orale.
Tra i software più utilizzati per la creazione di tabelle simboliche vi sono Boardmaker e Picture It, strumenti che consentono di personalizzare i materiali comunicativi secondo le necessità individuali. Ad esempio, attraverso Boardmaker è possibile realizzare sequenze come “Io voglio andare a casa” o “Oggi faccio musica”, integrando immagini, parole e colori per facilitare la comprensione. Questi strumenti digitali, ormai compatibili con tablet e computer, sono impiegati non solo in ambito clinico, ma anche nelle scuole inclusive, nei centri di riabilitazione e nelle famiglie, per creare un ambiente comunicativo coerente e continuo.
Un ruolo fondamentale è svolto dai dispositivi elettronici VOCA (Voice Output Communication Aids), ausili che permettono di emettere messaggi vocali preregistrati o sintetizzati. L’utente, toccando un tasto o un’icona, può “parlare” attraverso il dispositivo, scegliendo frasi o parole utili alla situazione. I VOCA variano dai modelli più semplici – che riproducono singoli messaggi – ai sistemi complessi con schermo tattile e sintesi vocale, in grado di gestire intere conversazioni. Negli ultimi anni, la tecnologia touchscreen ha reso questi strumenti più accessibili e intuitivi, con applicazioni dedicate anche a bambini in età prescolare.
L’introduzione dei VOCA nella didattica inclusiva rappresenta un passo importante verso una comunicazione bidirezionale. Il dispositivo non è pensato solo per consentire alla persona di “farsi capire”, ma anche per promuovere una reale interazione sociale: un alunno che usa un VOCA per dire “voglio continuare questa attività” o “mi piace questa canzone” partecipa attivamente alla vita di classe, rafforzando autostima e senso di appartenenza. Studi dell’International Society for Augmentative and Alternative Communication (ISAAC, 2021) dimostrano che l’uso regolare di tali ausili migliora la competenza comunicativa e riduce la dipendenza dagli adulti nel 70% dei casi osservati.
Accanto ai supporti digitali, esistono anche strumenti tangibili, pensati per stimolare più canali sensoriali contemporaneamente. Si tratta di schede tattili o carte sensoriali che rappresentano oggetti, texture o concetti attraverso il tatto, utili soprattutto per utenti con disabilità visiva o con difficoltà cognitive severe. Tali materiali possono includere superfici ruvide, lisce o tridimensionali, favorendo il riconoscimento multisensoriale e lo sviluppo delle abilità percettive.
La versatilità della CAA consente di combinare questi strumenti in modo dinamico. In molti casi, i tablet integrano software di simboli e funzioni VOCA, consentendo un uso simultaneo delle due modalità. App come “CoughDrop”, “LetMeTalk” o “Proloquo2Go” permettono di creare sistemi di comunicazione personalizzati, in grado di adattarsi all’evoluzione delle competenze dell’utente. Questa sinergia tra tecnologia e pedagogia evidenzia come la CAA non sia solo una pratica riabilitativa, ma una vera e propria filosofia educativa che mira a garantire il diritto alla parola in tutte le sue forme.
Etichettatura, ambienti comunicativi e strutturazione visiva del contesto
Uno dei principi fondamentali della Comunicazione Aumentativa e Alternativa (CAA) è che la comunicazione non avviene solo tra due persone, ma all’interno di un ambiente. Ogni spazio, infatti, può essere progettato per diventare un contesto “facilitante”, cioè capace di rendere più accessibile e prevedibile l’interazione comunicativa. In questa prospettiva, strumenti come etichettatura ambientale, planning visivo e strisce di sequenza assumono un ruolo centrale nella costruzione di ambienti inclusivi, sia scolastici che domestici.
L’etichettatura consiste nell’applicare simboli, parole o immagini a oggetti e spazi, così da favorire l’orientamento, la comprensione e la memorizzazione. Può essere di due tipi: denominativa, quando l’etichetta è posta direttamente sull’oggetto (ad esempio la scritta e il simbolo “sedia” su una sedia), o organizzativa, quando serve a indicare la categoria di oggetti contenuti in un luogo (come una scatola con l’immagine di una palla per segnalare i giochi da cortile). Questa pratica, apparentemente semplice, si fonda su principi solidi di psicologia cognitiva: l’associazione stabile tra parola, immagine e referente concreto aiuta la generalizzazione e il recupero mnemonico, facilitando l’apprendimento del lessico e la comprensione delle routine.
In ambito educativo, l’etichettatura visiva è particolarmente utile per bambini con disturbi del linguaggio, disturbi dello spettro autistico o disabilità intellettive. Inserire simboli e immagini negli ambienti scolastici aiuta a ridurre l’ansia derivante dall’imprevedibilità e aumenta il senso di controllo. L’alunno che sa dove trovare gli oggetti, a chi rivolgersi e cosa aspettarsi da un’attività riesce a gestire meglio i cambiamenti e a partecipare più attivamente. Le linee guida del Ministero dell’Istruzione italiano (MIUR, 2020) raccomandano di adottare sistematicamente supporti visivi negli spazi scolastici, riconoscendoli come elementi chiave della didattica inclusiva.
Un’estensione naturale dell’etichettatura è la strutturazione del tempo e delle attività attraverso i planning visivi. Si tratta di sequenze di simboli o immagini che rappresentano le fasi della giornata o di una singola attività (ad esempio “arrivo a scuola – colazione – attività in classe – ricreazione – pranzo – ritorno a casa”). Queste strisce temporali permettono alla persona di prevedere cosa accadrà, di comprendere il significato delle transizioni e di sviluppare un senso di ordine e di continuità. Anche per i bambini senza disabilità, la prevedibilità rafforza l’autonomia e la capacità di organizzare il proprio comportamento.
Molti insegnanti e terapisti utilizzano le strisce magnetiche o i pannelli visivi personalizzati, costruiti con simboli PCS o immagini fotografiche reali. In alcuni casi, il bambino o l’alunno può spostare autonomamente le immagini man mano che le attività vengono concluse, esercitando così una forma di controllo attivo sul tempo e sul proprio percorso. Questo tipo di interazione concreta, oltre a rafforzare la comprensione sequenziale, favorisce lo sviluppo delle funzioni esecutive e la percezione di sé come soggetto competente.
Non meno importante è la strutturazione dello spazio. Un’aula ben organizzata, in cui le aree di gioco, lavoro e relax sono chiaramente identificate da simboli e colori, sostiene la comunicazione non verbale e riduce le ambiguità. In ambienti terapeutici o domestici, è possibile associare a ogni area un tema visivo (per esempio, una casetta per la zona “casa”, un libro per l’angolo lettura, un piatto per la mensa). La coerenza tra elementi visivi e attività aiuta il bambino a decodificare più rapidamente le situazioni e a comprendere il contesto comunicativo.
Infine, la progettazione di un ambiente comunicativo non si limita all’uso di simboli, ma include l’atteggiamento delle persone che lo abitano. Ogni adulto – insegnante, genitore, educatore – deve diventare parte integrante del sistema comunicativo, adottando modalità coerenti, rinforzando i segnali del bambino e modellando comportamenti comunicativi adeguati. La CAA non è quindi un insieme di strumenti, ma una cultura della comunicazione condivisa, dove linguaggio, spazio e relazione si intrecciano per costruire un contesto realmente accessibile a tutti.
Marcatori infragmatici, modelling e strategie di semplificazione linguistica
Nell’ambito della Comunicazione Aumentativa e Alternativa (CAA), un aspetto spesso trascurato ma di grande rilevanza riguarda il modo in cui l’adulto modella e struttura il linguaggio. Quando una persona presenta difficoltà di comprensione o di produzione linguistica, non basta fornirle strumenti alternativi: occorre anche adattare la comunicazione in modo che diventi accessibile, prevedibile e coerente. In questo senso, concetti come marcatori infragmatici e modelling assumono un ruolo centrale nella mediazione educativa.
I marcatori infragmatici sono brevi espressioni o parole che introducono una frase e aiutano a contestualizzarne il significato. Frasi come “Ora ascolta bene”, “Attenzione, sta per iniziare”, “Ti faccio vedere” o “Adesso tocca a te” servono a segnalare l’inizio di un’azione comunicativa, a focalizzare l’attenzione e a fornire indicazioni pragmatiche sull’uso del linguaggio. Nei bambini con disturbi del linguaggio o della comprensione, questi marcatori funzionano come “ancore cognitive”: semplificano l’elaborazione del messaggio e aiutano a distinguere ciò che è importante.
Dal punto di vista linguistico, tali strategie si fondano su studi di pragmatica funzionale (Bruner, 1983; Tomasello, 2003), secondo cui la comprensione della lingua nasce prima di tutto nel contesto dell’interazione sociale. Introdurre marcatori stabili e coerenti aiuta l’alunno a prevedere la funzione comunicativa della frase che seguirà, rendendo più chiaro il messaggio e rafforzando la capacità di generalizzare le regole linguistiche. Inoltre, nei percorsi CAA, questi marcatori possono essere rappresentati visivamente attraverso simboli o colori, permettendo di costruire un linguaggio multimodale che combina parole, immagini e gesti.
Accanto ai marcatori, la strategia del modelling (modellamento) rappresenta una delle tecniche più efficaci di apprendimento linguistico e comunicativo. Consiste nel mostrare, attraverso l’esempio, come si utilizza un determinato segno, simbolo o dispositivo comunicativo. In pratica, l’adulto utilizza lo stesso strumento dell’alunno – ad esempio una tabella CAA o un VOCA – per accompagnare il linguaggio verbale con simboli, gesti o immagini. L’alunno osserva, imita e gradualmente interiorizza la modalità comunicativa proposta.
Il modelling è particolarmente utile quando la persona si trova nelle fasi iniziali dell’apprendimento comunicativo. L’adulto funge da “interprete” e “facilitatore”, mostrando come si costruisce un messaggio e come si ottiene una risposta. Con il tempo, il soggetto passa da una partecipazione passiva a una produzione autonoma. Questo processo di co-costruzione linguistica è stato definito anche “scaffolding comunicativo” (Wood, Bruner & Ross, 1976): una forma di impalcatura relazionale che sostiene l’apprendimento finché l’individuo non è in grado di agire da solo.
Un altro elemento essenziale della CAA riguarda la semplificazione linguistica. Parlare in modo semplificato non significa impoverire il linguaggio, ma renderlo più chiaro e accessibile. Le strategie includono: l’uso di frasi brevi e dirette, la ripetizione di parole chiave, la coerenza terminologica (utilizzare sempre lo stesso termine per lo stesso concetto), e il supporto visivo costante. In ambito educativo, queste pratiche sono particolarmente efficaci per favorire la comprensione nei bambini con disturbi specifici del linguaggio (DSL), autismo o disabilità intellettive.
L’efficacia del linguaggio semplificato e modellato è confermata da diverse ricerche: studi condotti dal Centro Studi Erickson e dall’American Speech-Language-Hearing Association mostrano che l’uso combinato di linguaggio verbale, simbolico e visivo aumenta del 40% la capacità di comprensione e riduce significativamente i comportamenti disfunzionali. In altre parole, quando la comunicazione è chiara, coerente e condivisa, anche le relazioni diventano più fluide e significative.
In sintesi, i marcatori infragmatici e il modelling non sono tecniche accessorie, ma veri e propri strumenti di inclusione. Essi traducono la complessità del linguaggio in forme accessibili, rispettando le modalità cognitive di ciascuno. La semplificazione, lungi dall’essere una riduzione, è un atto di rispetto verso chi comunica in modo diverso: un modo per dire “ti ascolto” e “possiamo capirci”, anche al di là delle parole.
L’applicazione coerente e sistematica della Comunicazione Aumentativa e Alternativa (CAA) produce effetti che vanno ben oltre la sfera linguistica. Essa agisce come un potente catalizzatore di autonomia personale, partecipazione sociale e inclusione educativa. Comunicare, infatti, non significa solo trasmettere informazioni, ma entrare in relazione, costruire identità e riconoscimento reciproco. Per le persone con disabilità, poter esprimere un desiderio, un’opinione o una preferenza rappresenta un passo fondamentale verso la cittadinanza attiva e la piena dignità comunicativa.
Nel contesto scolastico, la CAA consente di rendere visibile la voce di chi, altrimenti, rischierebbe di restare inascoltato. Gli insegnanti che utilizzano sistemi simbolici, schede o dispositivi VOCA non solo favoriscono la comprensione, ma riconoscono l’intenzionalità comunicativa dell’alunno, validando il suo diritto a partecipare al dialogo. Secondo numerose ricerche (Light & McNaughton, 2019; ASHA, 2022), l’uso regolare della CAA migliora le competenze cognitive e relazionali, stimola la curiosità e riduce la frustrazione legata all’incomunicabilità. Quando l’alunno si sente compreso, aumenta la motivazione all’apprendimento e la capacità di collaborare con il gruppo classe.
Un aspetto cruciale della CAA è il suo valore inclusivo. Essa non è uno strumento “speciale” per persone “speciali”, ma una modalità di comunicazione universale che arricchisce l’interazione di tutti. Le strategie visive e multimodali — simboli, immagini, gesti, testi, suoni — potenziano la didattica anche per i compagni di classe, migliorando l’attenzione e la comprensione globale. La ricerca pedagogica parla infatti di universal design for learning (UDL), un approccio che mira a progettare ambienti di apprendimento accessibili a priori, senza bisogno di adattamenti successivi. In questa prospettiva, la CAA rappresenta uno strumento perfettamente coerente con i principi dell’UDL e della scuola inclusiva italiana sancita dalla Legge 104/1992 e dai nuovi LEA (Livelli Essenziali di Assistenza, 2017).
Anche in ambito familiare e sociale, la CAA favorisce relazioni più autentiche e meno mediate. Quando genitori, fratelli o caregiver imparano a utilizzare simboli e strategie comunicative condivise, il linguaggio torna a essere uno spazio comune, non un confine. La possibilità di “parlare con le mani”, con immagini o con dispositivi vocali restituisce alle famiglie un senso di continuità e di connessione emotiva, riducendo lo stress e il senso di isolamento spesso legati alle disabilità comunicative.
Da un punto di vista sociale, la diffusione della CAA contribuisce a promuovere una cultura della comunicazione accessibile. Gli spazi pubblici, le istituzioni e i servizi educativi che adottano sistemi simbolici (pittogrammi, mappe visive, segnaletica inclusiva) non solo facilitano la vita delle persone con bisogni comunicativi complessi, ma rendono l’ambiente più comprensibile per tutti: anziani, bambini piccoli, stranieri o persone con disturbi temporanei del linguaggio. In questo senso, la CAA diventa parte integrante del concetto di accessibilità universale previsto dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (art. 9 e 21).
Infine, il valore più profondo della CAA risiede nel suo impatto umano. Attraverso di essa, la comunicazione torna a essere un diritto, non un privilegio. Ogni segno, ogni immagine, ogni gesto utilizzato per costruire significato rappresenta un atto di inclusione. Come ricordava il linguista Jerome Bruner, “imparare a comunicare significa imparare a diventare umani”: la CAA, in questo senso, non è solo una tecnologia educativa, ma una filosofia relazionale che restituisce voce, identità e appartenenza a chi troppo spesso è stato escluso dal dialogo.
Box pratici riassuntivi
Punti chiave
- La comunicazione è un diritto universale: ogni persona, indipendentemente dalle proprie capacità, deve poter esprimere pensieri, bisogni ed emozioni.
- Il training di comunicazione funzionale (FCT) e la Comunicazione Aumentativa e Alternativa (CAA) mirano a sostituire i comportamenti prelinguistici con modalità simboliche più efficaci e condivise.
- La CAA non sostituisce il linguaggio, ma lo arricchisce, combinando segni, immagini, suoni e parole per rendere la comunicazione più accessibile e partecipativa.
- L’efficacia di ogni intervento dipende dalla personalizzazione, dal rinforzo positivo e dal coinvolgimento dell’intero contesto educativo e familiare.
- L’uso sistematico di strumenti visivi (simboli, etichette, planning, VOCA) migliora la comprensione, riduce la frustrazione e favorisce autonomia e inclusione.
Errori comuni
- Utilizzare strumenti CAA solo in assenza totale di linguaggio verbale, invece che come supporto aumentativo.
- Applicare un modello standardizzato senza considerare le competenze individuali motorie, cognitive o sensoriali.
- Rinforzare involontariamente i comportamenti prelinguistici indesiderati invece delle nuove forme comunicative.
- Usare linguaggio e simboli incoerenti tra casa, scuola e terapia, creando confusione e regressione.
- Interpretare la semplificazione linguistica come riduzione del contenuto, invece che come chiarezza e coerenza comunicativa.
Checklist operativa
- Verificare le capacità comunicative e motorie di partenza della persona.
- Identificare gli atti comunicativi prelinguistici da sostituire e le loro funzioni (richiesta, protesta, interazione, attenzione).
- Selezionare il sistema simbolico o tecnologico più idoneo (simboli PCS, VOCA, tabelle, app digitali).
- Creare contesti motivanti e reali in cui la comunicazione abbia un significato concreto.
- Rinforzare immediatamente i nuovi comportamenti comunicativi e ridurre la risposta ai comportamenti inadeguati.
- Coinvolgere famiglia, insegnanti e compagni in un percorso condiviso di modellamento comunicativo.
- Monitorare regolarmente i progressi, adattando strumenti e strategie in base all’evoluzione delle competenze.
Suggerimenti operativi
- Integra la CAA anche in situazioni informali (gioco, mensa, attività ricreative) per rafforzarne la generalizzazione.
- Utilizza simboli chiari, grandi e coerenti; evita il sovraccarico visivo.
- Associa sempre il linguaggio verbale ai simboli: parlare e indicare contemporaneamente potenzia la comprensione.
- Prevedi momenti di revisione con genitori e colleghi per garantire coerenza e continuità comunicativa.
- Ricorda che ogni comunicazione è bidirezionale: anche l’adulto deve adattarsi, ascoltare e modellare.
Fonti e letture consigliate
- Light, J., & McNaughton, D. (2019). *Communicative Competence for Individuals who Require AAC: A New Definition for a New Era of Communication?* Augmentative and Alternative Communication, 35(1).
- American Speech-Language-Hearing Association (ASHA). (2022). *Practice Portal: Augmentative and Alternative Communication (AAC)*.
- Bruner, J. (1983). *Il linguaggio come strumento di interazione sociale*. Roma: Armando Editore.
- Tomasello, M. (2003). *Costruire un linguaggio: l’emergere della comunicazione umana*. Bologna: Il Mulino.
- Ministero dell’Istruzione e del Merito (2020). *Linee guida per l’inclusione scolastica degli alunni con disabilità*.
- World Health Organization (WHO). (2020). *International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF)*.
I testi pubblicati in questa sezione hanno esclusivamente finalità divulgative e di supporto allo studio. Si tratta di rielaborazioni originali dell’autore, basate su fonti pubbliche, scientifiche e accademiche, e non costituiscono in alcun modo materiale ufficiale universitario o di enti formativi. Non sono trascrizioni, copie o riadattamenti di lezioni, dispense, slide o altri contenuti protetti da copyright.
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