I Cibi ultralavorati influenzano la nostra salute?

Introduzione: il paradosso degli alimenti ultralavorati

Viviamo in un’epoca in cui possiamo avere accesso al cibo a qualsiasi ora, in qualsiasi luogo, con una varietà di scelta mai esistita nella storia dell’umanità. In questo contesto iper-alimentato, gli alimenti ultralavorati hanno assunto un ruolo da protagonisti. Sono ovunque: dagli scaffali del supermercato alle merendine nella pausa ufficio, dai cereali per la colazione alle pizze surgelate pronte in cinque minuti.

Ma cosa sono esattamente? E perché la scienza della nutrizione lancia l’allarme su un loro consumo eccessivo? In questo articolo analizzeremo nel dettaglio gli alimenti ultralavorati, chiarendo cosa sono, quali effetti possono avere sulla salute e come possiamo gestirne il consumo in modo consapevole, senza cadere in estremismi inutili.

Cosa si intende per “alimenti ultralavorati”?

Gli alimenti ultralavorati — o ultraprocessati secondo la terminologia internazionale — sono prodotti creati attraverso processi industriali complessi, con ingredienti spesso non utilizzati nelle cucine domestiche. Il sistema di classificazione più diffuso è il sistema NOVA, elaborato da un gruppo di ricercatori brasiliani, che suddivide gli alimenti in quattro gruppi in base al grado di lavorazione.

I cibi ultralavorati, appartenenti al gruppo 4, sono quelli realizzati con ingredienti isolati, sintetizzati o trasformati industrialmente, come:

  • Zuccheri raffinati, oli vegetali idrogenati, proteine isolate, sciroppi di glucosio-fruttosio
  • Additivi come coloranti, conservanti, aromi artificiali, emulsionanti
  • Tecniche di produzione industriale come l’estrusione, la prefrittura, la pastorizzazione ad alta temperatura, la liofilizzazione

Esempi comuni: snack dolci e salati, cereali da colazione zuccherati, bibite gassate, piatti pronti surgelati, dolci confezionati, pane industriale a lunga conservazione, salse e condimenti in barattolo, dessert con aromi artificiali.

Perché gli alimenti ultralavorati sono un problema?

Il problema non è tanto il singolo alimento, ma l’eccessiva presenza di questi prodotti nella dieta quotidiana, spesso a scapito di alimenti freschi e integrali. L’evidenza scientifica recente suggerisce che una dieta ricca di ultralavorati sia associata a un aumento del rischio di:

  • Obesità e sovrappeso
  • Sindrome metabolica
  • Diabete di tipo 2
  • Malattie cardiovascolari
  • Alcuni tipi di cancro (es. colon-retto)
  • Disturbi dell’umore e sintomi depressivi

Vediamo ora alcuni meccanismi che spiegano perché questi cibi possono avere un impatto così sfavorevole sulla salute.

1. Composizione nutrizionale sbilanciata

Molti alimenti ultralavorati sono ricchi di zuccheri semplici, grassi saturi e sale, e allo stesso tempo poveri di fibra alimentare, vitamine, minerali e antiossidanti. Una tipica “base” industriale comprende farina raffinata, zuccheri, oli vegetali e sale, arricchita da aromi, coloranti e additivi per migliorarne gusto, aspetto e conservazione.

Questi alimenti forniscono molta energia ma pochi nutrienti essenziali (alta densità energetica, bassa densità nutrizionale), contribuendo a una dieta caloricamente eccessiva ma nutrizionalmente carente.

2. Bassa capacità saziante

Gli ultralavorati tendono a saziare poco, il che porta facilmente a un consumo eccessivo. Questo avviene per due motivi:

  • La scarsa presenza di fibra e nutrienti regolatori dell’appetito
  • Le texture facilmente masticabili o addirittura pre-masticate, come biscotti friabili, merendine soffici o snack sgretolabili, che non stimolano adeguatamente il senso di sazietà

Il risultato? Mangiamo rapidamente, ingurgitiamo molte calorie senza sentirci sazi, e siamo spinti a consumarne ancora.

3. Iper-palatabilità: un design del gusto che crea dipendenza

Molti alimenti ultralavorati sono progettati per essere “iper-palatabili”, ovvero irresistibili al gusto. La combinazione di dolce, salato e grasso, insieme a consistenze piacevoli e aromi studiati, attiva i meccanismi di ricompensa cerebrale, analoghi a quelli coinvolti nelle dipendenze.

Studi neuroscientifici hanno evidenziato come il consumo ripetuto di questi cibi possa alterare i circuiti della ricompensa nel cervello, rendendoci più propensi a preferirli rispetto a cibi naturali. Tuttavia, il palato è plasticamente allenabile: riducendo l’esposizione ai cibi iper-palati, la sensibilità ai gusti naturali può aumentare.

4. Presenza di additivi e dolcificanti

Molti ultraprocessati contengono decine di additivi alimentari: coloranti, aromi artificiali, conservanti, stabilizzanti, dolcificanti non calorici come aspartame o sucralosio.

Le agenzie di sicurezza alimentare (EFSA, FDA) stabiliscono limiti di sicurezza per ciascun additivo, ma gli effetti cumulativi a lungo termine, specie in diete con un alto consumo quotidiano, sono ancora oggetto di studio.

Un recente filone di ricerca indaga il potenziale impatto dei dolcificanti sul metabolismo, sul microbiota intestinale e sulla risposta insulinica, anche se i risultati non sono ancora definitivi.

5. Effetti sul microbiota intestinale

Il microbiota intestinale è l’insieme dei microrganismi che vivono nel nostro apparato digerente e svolgono funzioni cruciali per la digestione, l’immunità e la regolazione dell’umore.

Diete povere di fibre e ricche di additivi (come emulsionanti e conservanti) possono alterare la composizione del microbiota, favorendo specie infiammatorie e riducendo la diversità microbica. Anche in questo caso, gli studi sono in corso, ma i primi risultati indicano una correlazione preoccupante tra dieta ultralavorata e disbiosi intestinale.

6. Costo (apparentemente) conveniente

Gli ultralavorati sono spesso più economici e accessibili rispetto agli alimenti freschi. Le aziende abbassano i costi tramite produzioni su larga scala, ingredienti a basso costo e packaging attraente. Tuttavia, il costo reale per la salute è molto più alto.

La spesa alimentare dovrebbe essere vista come un investimento sulla salute, non solo come una voce di bilancio da ridurre. Inoltre, non è sempre vero che mangiare sano è più costoso: legumi secchi, verdure di stagione, cereali integrali sfusi sono spesso più economici degli snack confezionati.

7. Conservabilità elevata: un vantaggio che diventa trappola

Gli alimenti ultralavorati hanno una durata lunghissima, anche mesi o anni, grazie all’uso di conservanti e tecniche di produzione che inibiscono la proliferazione microbica. Questo rappresenta un vantaggio logistico, ma anche un fattore di rischio per la salute pubblica, perché facilita un consumo impulsivo e non pianificato.

In una società dove il cibo è costantemente accessibile, la presenza continua di alimenti pronti da mangiare può alimentare comportamenti alimentari disfunzionali, specie in momenti di stress, stanchezza o noia.

8. Marketing emozionale: cibo come prodotto narrativo

Il successo degli ultralavorati non si basa solo sul gusto, ma anche su strategie di marketing raffinate. Le pubblicità non descrivono ingredienti o proprietà nutrizionali, ma evocano emozioni, ricordi, sensazioni di appartenenza.

Il cibo diventa così un simbolo, un’esperienza emotiva più che nutrizionale. Purtroppo, spesso queste strategie promuovono prodotti vuoti dal punto di vista nutrizionale, a scapito di cibi freschi e salutari che meriterebbero più attenzione anche dal punto di vista comunicativo.

Quindi, fanno davvero male?

La risposta non è assoluta, ma dipende dal contesto e dalla quantità. Consumare occasionalmente un alimento ultralavorato non è un problema. Il problema nasce quando questi prodotti diventano la base dell’alimentazione quotidiana.

Chi ha un bisogno ricorrente di “qualcosa di dolce” non deve per forza rinunciare, ma può imparare a modulare quantità e frequenza, privilegiando magari alternative più nutrienti (es. frutta, cioccolato fondente, dolci fatti in casa con ingredienti semplici).

L’obiettivo non deve essere la perfezione alimentare, ma una maggiore consapevolezza. Ridurre gli ultraprocessati e aumentare gli alimenti freschi, vegetali e integrali migliora la salute, l’energia e perfino il benessere psicologico.

Bibliografia

Vedi le fonti utilizzate
  1. Monteiro CA, et al. (2019). “Ultra-processed foods, diet quality, and health using the NOVA classification system”. Public Health Nutrition.
  2. Hall KD, et al. (2019). “Ultra-Processed Diets Cause Excess Calorie Intake and Weight Gain”. Cell Metabolism.
  3. Fiolet T, et al. (2018). “Consumption of ultra-processed foods and cancer risk: results from NutriNet-Santé prospective cohort”. BMJ.
  4. Chassaing B, et al. (2015). “Dietary emulsifiers impact the mouse gut microbiota promoting colitis and metabolic syndrome”. Nature.
  5. WHO – World Health Organization. “Healthy diet”. Linee guida generali aggiornate al 2023.
Avvertenza per i lettori
Le informazioni presenti in questo articolo hanno finalità esclusivamente divulgative e non sostituiscono in alcun modo il consulto medico professionale.
I contenuti non devono essere considerati strumenti di diagnosi o prescrizioni terapeutiche.
Consultare sempre il proprio medico prima di intraprendere trattamenti o modifiche al proprio stile di vita e di alimentazione.
Si consiglia inoltre di rivolgersi a specialisti qualificati per qualsiasi dubbio o chiarimento riguardante il proprio stato di salute o l’utilizzo di farmaci, erbe e trattamenti.
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